La scomparsa delle foreste vergini è un grosso guaio
Si potrebbe ritenere che la peggiore delle notizie sia il fatto che da inizio secolo a oggi il 10% delle foreste vergini presenti sul nostro pianeta sia scomparso. Eppure non è questo il dato che preoccupa di più: sono soprattutto le stime per il futuro a dare la misura della gravità della situazione. Se il trend non cambierà a breve, entro la metà del secolo rimarranno solamente i due terzi delle foreste vergini globali. Sono questi gli ultimi risultati pubblicati da Greenpeace, che evidenziano una situazione ambientale in continuo peggioramento a causa delle attività umane e dell’inquinamento atmosferico. Già oggi i danni agli ecosistemi viventi sono enormi, e nei prossimi anni potrebbero diventare irreparabili.
Il valore delle foreste vergini è irrinunciabile
Le foreste vergini o primarie, delle anche intact forest landscape come vengono chiamate in termini scientifici, sono paesaggi intatti che non sono stati contaminati dagli esseri umani attraverso la realizzazione di opere infrastrutturali (come strade, edifici, costruzioni eccetera) o per lo sfruttamento agricolo. Affinché un’area geografica possa essere definita foresta vergine è necessario, inoltre, che presenti una superficie complessiva di almeno 500 chilometri quadrati, e che contenga un’alta concentrazione di biodiversità, con molte specie di piante ed ecosistemi diversi al suo interno.
Queste caratteristiche specifiche sono possedute da circa un quinto delle foreste complessivamente presenti sulla Terra. I paesaggi forestali intatti sono essenziali per l'equilibrio del nostro pianeta: per esempio, a differenza delle cosiddette foreste secondarie, quelle primarie immagazzinano una quantità molto maggiore di anidride carbonica, quindi offrono un grande contributo nella lotta al riscaldamento globale. Inoltre, in queste foreste intatte spesso si trovano specie animali e vegetali rare, che sfruttano le aree incontaminate per continuare a sopravvivere, sottraendosi all'estinzione a cui sarebbero altrimenti destinate.
I dati attuali e un trend che non promette bene
Nel 2020, la superficie del nostro pianeta occupata dalle foreste vergini era ampia 11,3 milioni di chilometri quadrati, ossia poco più del Canada, e rappresentava circa il 9% delle terre emerse non coperte da ghiacci. Questi dati sono riportati nell’ultima mappa globale delle foreste vergini, realizzata dal Global mapping hub di Greenpeace e dall’università del Maryland.
Le principali aree dove si trovano queste folte vegetazioni intatte sono situate nei pressi del fiume Rio delle Amazzoni, in Congo e nella Grande foresta del nord (tra Alaska, Canada, Russia e penisola scandinava). Circa tre quarti delle foreste vergini rimaste si trovano tra Brasile, Perù, Repubblica democratica del Congo, Canada e Russia. In Europa invece non sono così diffuse: una delle più note, ma di dimensioni modeste (appena 876 chilometri quadrati) è probabilmente quella di Białowieza, al confine tra Polonia e Bielorussia.
I dati negli ultimi decenni sono in costante peggioramento: durante il ventennio dal 2000 al 2020, infatti, nel mondo sono scomparsi 1,5 milioni di chilometri quadrati di foreste vergini, pari circa a 3 volte la superficie della Spagna. Come è facile intuire, la perdita non è stata uniforme su tutto il pianeta, ma il 70% è corrisposto a soli 6 paesi: Russia, Canada, Brasile, Bolivia, Congo e Perù. Come anticipato, a destare preoccupazione è l’aumento del tasso di scomparsa delle foreste vergini: nel periodo 2014-2020, rispetto al periodo precedente di uguale lunghezza (2008-2014), le aree boschive intatte sono diminuite con una velocità del 28% superiore. Il dato peggiore arriva dalla Russia, dove ogni anno oltre 33mila chilometri quadrati di foreste vergini vengono perse, più del doppio rispetto al ritmo della metà degli anni Dieci.
Con questi numeri, le prospettive future sono tutt’altro che incoraggianti. Secondo le stime odierne, tra qualche decennio resterà ben poco delle grandi foreste siberiane, e una sorte molto simile toccherà al Brasile e agli altri paesi del Sudamerica, dove sempre più spesso le foreste vengono "convertite" in aree agricole. Se il disboscamento industriale, gli incendi boschivi e l’inquinamento derivante dall’estrazione dei combustibili fossili non diminuiranno significativamente, entro il 2050 andrà perduto un terzo delle foreste vergini presenti sul nostro pianeta a inizio secolo. Con conseguenze per la biodiversità e l'equilibrio degli ecosistemi facili da immaginare.
L'Europa e l'Italia danno il buon esempio
Una buona notizia è che una foresta primaria scomparsa non è per forza perduta per sempre. Le foreste secondarie, o in generale le aree contaminate dall’intervento umano, con il tempo possono essere invase nuovamente da una varietà di specie forestali primarie, quindi tornare ad appartenere alla cerchia ristretta delle foreste vergini. È il caso di alcune aree dell’Europa che, grazie a piani di tutela delle risorse naturali e delle aree boschive, hanno visto la rinascita di zone verdi anche di grandi dimensioni un po' su tutto il Vecchio continente. Anche l’Italia negli ultimi trent'anni ha registrato risultati importanti, segnando un aumento della copertura forestale del 30%.
Di fatto, le politiche ambientali e le normative a tutela delle foreste che riducono (o disincentivano) i comportamenti umani nocivi per i paesaggi forestali intatti rappresentano le uniche soluzioni veramente valide. Quindi regole sempre più stringenti e severe sono quanto mai necessarie. I risultati sono visibili anche in America, dove il Canada e gli Stati Uniti - pur continuando in un trend con il segno meno - hanno perlomeno ridotto la perdita annuale di zone verdi incontaminate, puntando a raggiungere una condizione di mantenimento.