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Pesci “drogati”: così i farmaci contaminano gli animali nell’oceano

Una ricerca condotta in Florida ha trovato una quantità preoccupante di farmaci in alcuni pesci in mare: tra quelli analizzati ci sono oppiacei, antidepressivi e medicine per il cuore. Queste sostanze “possono portare vari problemi”, spiegano gli esperti
Ambiente29 Aprile 2022 - ore 15:27 - Redatto da Redazione Meteo.it
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Ci sono varie sostanze che contaminano ogni giorno i mari e gli oceani di tutto il mondo, e tra queste - anche se se ne discute ancora poco - ci sono i farmaci. A riportare alla ribalta il problema è stata di recente la ricerca condotta nelle acque della Florida, che scoperto tracce di 58 diversi farmaci nel pesce bonefish (il "tarpone") e nelle creature marine di cui si ciba: gamberi, granchi e piccoli pesci. A riportare la notizia è il Guardian.

Tutti i pesci contaminati

Lo studio della dottoressa Jennifer Rehage, professoressa associata alla Florida International University, cercava di indagare le cause della diminuzione del bonefish nelle acque della Florida. E nel corso della ricerca, ha scoperto che i farmaci che contaminano il mare potrebbero essere una delle cause: di 93 bonefish analizzati, tutti sono risultati positivi ad almeno un farmaco: tra questi medicine per il cuore, oppiacei e antidepressivi. E anche le prede naturali del bonefish, tra cui ci sono gamberi e granchi, sono risultati contaminati dai farmaci.

I rischi per la salute

Non ci sono ancora informazioni sufficienti per collegare il declino del bonefish alla presenza di farmaci nell’acqua di mare, ma “la possibilità che questi siano un problema è alta e preoccupante”, ha detto la dottoressa Rehage. I rischi per la salute causati dalla contaminazione dei farmaci nel mare non sono ancora del tutto noti, ma ci sono segnali che queste sostanze possano avere molti effetti negativi: “Possono provocare vari problemi, in primo luogo al comportamento dei pesci, ma anche alla loro capacità di riprodursi e al loro sistema endocrino”, ha detto la professoressa Elena Fabbri dell’università di Bologna.

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