Ritorno all'energia nucleare in Italia? "Impraticabile, per tutti questi motivi"
Siamo di fronte a una potenziale crisi energetica di portata continentale, con prezzi che oscillano vertiginosamente e tendono al rialzo. In parallelo, da poche settimane l’energia nucleare è entrata a fare parte formalmente, per decisione della Commissione Europea, della cerchia delle risorse sostenibili. Ma a che punto siamo allora con una tecnologia che in Italia continua a fare parlare di sé e a fare discutere, con continue proposte di riaccensione delle centrali? Vediamolo nel dettaglio.
Oggi sono più di 120 i reattori per la produzione di energia nucleare attivi in Europa: 58 di questi si trovano in Francia, seguono Russia e Regno Unito. Ma nel nostro paese le condizioni di partenza sono completamente diverse, visto che le ultime centrali nucleari italiane sono state chiuse nel 1990 e nel 2011 oltre il 90% degli italiani aveva detto no in un referendum (dopo quello del 1987) a nuovi impianti.
Insomma, il nucleare in Italia pare essere un'ipotesi piuttosto remota, contando anche che probabilmente i potenziali benefici sono meno significativi rispetto ai problemi e alle difficoltà associate. Abbiamo discusso di questo tema delicato per Meteo.it con Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), consulente energetico per agenzie internazionali e autore del libro"Emergenza energia. Non abbiamo più tempo".
Tecnologie, risorse e territori: non ci siamo
Oggi, e ancora di più da quando è scoppiata la guerra in Ucraina e le tensioni con la Russia si sono acuite, la priorità per i governi è quella di trovare fonti e tecnologie per potere produrre energia, possibilmente utilizzando risorse rinnovabili e poco inquinanti. Il nucleare potrebbe teoricamente rappresentare una scelta utile a questo scopo, considerando la quantità di energia che gli impianti sono in grado di produrre in poco tempo. Ma anche tralasciando gli aspetti non secondari dello smaltimento delle scorie radioattive, c'è comunque una lunga serie di altri problemi di cui non si può non tenere conto.
"Parlare di nucleare oggi in Italia, e più in generale in Europa, è parlare di poco o nulla, eccezione fatta per la Francia", sostiene Armaroli. "Nel nostro paese bisognerebbe fare ripartire una filiera interrotta oltre trent'anni fa e che necessita di tempi lunghi per potere essere di nuovo operativa. Un reattore nucleare non si accende e si spegne come un elettrodomestico, ma serve un processo articolato e per nulla lineare per inserire impianti di questo tipo nell’attuale sistema elettrico, che è in profonda evoluzione". A questo si sommano poi delle motivazioni economiche: "Gli impianti di cui disponiamo sono obsoleti e hanno costi molto elevati. La tecnologia non può competere sui costi con tutte le alternative, in primis le rinnovabili, e gli investitori non si trovano. Le centrali di cui disponiamo, proprio come una vecchia automobile, sono costosissime da mantenere operative. Servirebbero 100 o 200 miliardi di euro per potere rilanciare il settore in Italia, e difficilmente i soldi del Recovery Fund potranno servire a questo scopo".
Prima ancora di pensare a cosa si potrebbe fare se il nucleare ritornasse operativo, insomma, bisognerebbe anzitutto trovare le ingenti risorse economiche necessarie. Un'operazione che sembra davvero complicata, visto che lo Stato è già molto indebitato e le società private, spiega Armaroli, non paiono affatto volere investire cifre simili per un rilancio del nucleare in Italia.
Da non sottovalutare sono anche gli aspetti territoriali, che complicano ulteriormente la sfida per il nostro paese. "Il 90% del nostro territorio nazionale è a rischio idrogeologico medio-alto", prosegue Armaroli. "E questo rende la gran parte del paese inadatta a diventare sito idoneo per collocare un impianto e ancora meno un deposito geologico di smaltimento delle scorie radioattive. Anche gli Stati Uniti, che pure hanno aree poco popolate, hanno rinunciato nel 2009 a trovare un sito di questo tipo, dopo avere speso inutilmente miliardi di dollari".
Come possiamo allora pensare di trovare questi siti in Italia? "A oggi è davvero molto difficile anche solo da ipotizzare. È bene precisare, peraltro, che non siamo ancora stati in grado di individuare siti idonei per smaltire le scorie che abbiamo prodotto sessanta anni fa". E poi c'è il decisivo problema del reperimento dell’uranio, la cui catena di approvvigionamento è assai complessa, visto che due terzi di quello presente nel mondo si trova in Kazakistan.
Ancora prima di partire è già tardi
Un fattore chiave, soprattutto considerando la situazione energetica attuale del nostro pianeta, è il tempo. La necessità di opzioni alternative per produrre energia è urgente e non possiamo permetterci di aspettare i tempi necessari per avviare e rendere operativo questo cambiamento.
"Anche se domattina decidessimo di ripartire con il nucleare, cosa del tutto impossibile, sarebbero necessari almeno 15 anni per potere avere delle centrali realmente operative e sicure", sostiene Armaroli. "Considerando che i principali obiettivi di decarbonizzazione, stabiliti dall’accordo di Parigi, devono essere raggiunti entro il 2030, saremmo completamente fuori strada". Ripartire da zero adesso con il nucleare renderebbe di fatto impossibile raggiungere questi obiettivi, e come sappiamo le conseguenze per l'ambiente sarebbero molto gravi.
"Dobbiamo fare i conti fin da ora con il riscaldamento globale, e abbiamo la necessità di procedere rapidamente con la transizione energetica", continua Armaroli. Anche se tutto dovesse andare per il meglio, è davvero irrealistico pensare di potere utilizzare la tecnologia nucleare per raggiungere gli obiettivi energetici del prossimo futuro, soprattutto per i limiti temporali imposti dall'urgenza di un cambio di rotta.
Aspetti etici, sociali e di legittima paura
Mentre in Italia il settore nucleare sembra essere un binario morto, la Cina sta pensando di realizzare oltre 150 impianti nei prossimi 15 anni. Ma non tutti i Paesi hanno le stesse caratteristiche: la storia recente dell'Italia è molto diversa rispetto a quella cinese e ai limiti tecnici e logistici si sommano quelli di natura sociale ed etica.
"Ci sono problemi intrinseci e insormontabili in questa tecnologia e sono quelli che ne hanno determinato il progressivo abbandono in una larghissima parte delle economie di mercato: insostenibilità economica, bassissima accettabilità sociale, incapacità di chiudere il proprio ciclo dei rifiuti", spiega Armaroli. "Anche a livello sociale l’idea di riproporre l’utilizzo di centrali nucleari sarebbe molto difficile da accettare, visti i precedenti esiti delle consultazioni popolari".
Un altro scoglio per questa tecnologia è emerso prepotentemente in questi giorni in Ucraina, dove per la prima volta si combatte una guerra attorno a centrali nucleari, come sottolinea Armaroli. "Oggi possiamo costruire il reattore più sicuro del mondo nel luogo più tranquillo del mondo, ma chi può garantire che queste condizioni siano mantenute sulla scala temporale necessaria alla gestione di un impianto nucleare e della sua eredità di rifiuti che richiedono decenni, secoli, addirittura millenni? Nessuno può prevedere che quel sito, oggi ideale, possa diventare vulnerabile a seguito di sviluppi politici o militari che oggi non possiamo prevedere. Per capirci: ottanta anni fa l’Italia era uno stato canaglia alleato di Hitler, con il quale aggrediva la Russia. Sono questi i dilemmi inestricabili che il nucleare ci pone e su cui dobbiamo riflettere".
"La paura delle persone, giustificata o meno, fa da padrona a causa dei problemi di sicurezza che questa tecnologia ha mostrato in passato", aggiunge. Va sommata anche la storica instabilità politica del nostro paese, che difficilmente permette di avviare strategie di lungo termine, specialmente su questioni controverse: "Se anche un governo dovesse avviare il lungo iter verso la riattivazione di un programma nucleare, quello successivo potrebbe interrompere tutto. Uno scenario che rende ancora più insensato pensare di puntare al nucleare".
Insomma, anche se è difficile fare previsioni su quali saranno le decisioni future, anche per via di un quadro geopolitico internazionale quanto mai instabile, per ora sembra che le soluzioni realmente percorribili siano altre. "Eolico e fotovoltaico sono tecnologie sempre più efficienti e hanno costi sempre più bassi, ed è lì che dobbiamo puntare", conclude Armaroli. "In Europa non abbiamo uranio, petrolio o gas, però in 3 ore il sole invia sul nostro continente la quantità di energia che consumiamo in un anno. Se vogliamo l’indipendenza energetica, di cui tutti parlano in questi giorni, questa è l’unica strada".