Incendi e cielo rosso, perché la California brucia
Il cielo che si tinge di rosso, firenado, decine di morti, abitazioni distrutte a migliaia, oltre mezzo milione di sfollati e più di 20mila chilometri quadrati di foreste già andati in fumo: è questo il bilancio - solo provvisorio - degli incendi che nelle ultime settimane stanno mettendo a dura prova la California e in generale la costa occidentale degli Stati Uniti, inclusi Oregon e Stato di Washington. Con una sola speranza a breve termine, l'arrivo della pioggia.
Nonostante l'origine di molti dei roghi sia dovuta alla disattenzione e alla superficialità umana, a trasformare una situazione grave in una vera catastrofe sono soprattutto questioni meteo-climatiche. È vero, in Oregon un albero pericolante è caduto sui cavi elettrici innescando un incendio, in California un'automobile è esplosa tra gli arbusti, e poco distante una famiglia ha festeggiato un nuovo arrivo sparando fuochi d'artificio dove non avrebbe dovuto. Tuttavia, non fosse per il caldo, il vento e la siccità eccezionale di questo 2020, probabilmente il bilancio sarebbe stato meno grave.
Il ruolo del cambiamento climatico
Checché ne discuta la politica, il legame tra avvenimenti come questi e il mutamento del clima è ormai solidamente dimostrato dalla comunità scientifica. Così come per le perturbazioni di violenza estrema che si fanno sempre più frequenti, anche la maggiore estensione e gravità dei roghi è in buona parte imputabile al riscaldamento globale.
Il motivo è quasi intuitivo: temperature medie via via più elevate e una diminuzione delle precipitazioni generano aridità, ossia terreno fertile per la combustione. Poi il vento fa il resto, allargando il fronte delle fiamme e spostando il fumo dalle aree boschive verso quelle urbane, tanto da rendere l'aria di città come Portland, Seattle e San Francisco quasi irrespirabile. I cronisti locali raccontano di addensamenti di fumo in movimento coast-to-coast, tanto da essere arrivati dalla costa pacifica fino a quella atlantica, sopra New York.
Ciò non significa che altre tesi, come il dito puntato da Donald Trump contro la scarsa manutenzione delle aree forestali, siano del tutto prive di fondamento, ma è indubbio che sia il cambiamento climatico a fare la differenza rispetto a qualche anno addietro. E le previsioni degli esperti indicano che, almeno a breve termine, la situazione non può che continuare a peggiorare. Mentre a medio e lungo termine, un ruolo decisivo nell'evoluzione del clima è quello dell'attività antropica.
A tutto ciò poi si aggiunge una sorta di predisposizione naturale della California agli incendi (un po' come nel caso dell'Australia) per via dei forti venti autunnali che portano aria secca dalle aree interne verso la costa, l'abbondanza di vegetazione, l'estate poco piovosa e la grande esposizione solare che secca la vegetazione.
Il caso estremo del firenado
Oltre al tremendo bilancio in termini di vite umane e di devastazione ambientale, a far notizia in questo settembre di incendi californiani è stata la formazione di un firenado, un tornado di fuoco detto più correttamente pirocumulonembo, ripreso in diversi video.
Con un processo che presenta alcune analogie con quello di formazione degli uragani, l'origine dei firenado ha come punto di partenza il calore generato dagli incendi al suolo. L'aria calda, umida e turbolenta risale a velocità anche superiori ai 150 km/h, portando con sé la cenere e poi espandendosi e raffreddandosi in quota. Il vapore acqueo quindi condensa, formando una nube, all'interno della quale tipicamente si creano delle collisioni tra particelle di ghiaccio che si formano nella parte superiore fino ad arrivare all'accumulo di carica elettrica e alla formazione di lampi temporaleschi.
La parte più impressionante, almeno per chi osserva questo fenomeno stando a terra, si ha quando si genera una tempesta di fuoco. In pratica, l'incendio è così intenso da generare un proprio regime di venti, determinando una perturbazione all'interno e il cosiddetto effetto camino: il calore dell'incendio provoca la formazione di una corrente ascensionale a getto con una conformazione a vortice, attirando dalle aree circostanti aria (e in particolare ossigeno) che alimenta ulteriormente le fiamme. In queste condizioni enormi quantità di fumo dell'incendio possono essere iniettate in alta atmosfera, fino a determinare un parziale oscuramento dell'illuminazione solare e un effetto che somiglia a quello degli inverni nucleari.
I pirocumulunembi sono eventi rari ma non eccezionali, tanto che da quando se ne è compreso il meccanismo (nel 1988) se ne conta qualche decina ogni anno. Anche in questo caso, tuttavia, la scienza ha già evidenziato alcune correlazioni significative. La frequenza dei firenado, infatti, starebbe crescendo via via che la temperatura globale media aumenta, proprio perché caldo e siccità sono le condizioni che più facilmente determinano la comparsa di queste perturbazioni estreme.