Lotta all'hiv, tra nuovi farmaci e sperimentazioni del vaccino
Da una trentina d'anni ormai si parla di un possibile vaccino contro il virus dell'immunodeficienza umana hiv, ma a che punto siamo davvero oggi con la sperimentazione? Nonostante le ultime notizie finite sulle cronache raccontino dei risultati negativi degli studi clinici per la formulazione vaccinale prodotta da Johnson & Johnson, la ricerca di una profilassi in grado di proteggere dall’infezione non conosce soste: come sempre nella ricerca vaccinale, si cerca un candidato in grado di fornire non solo sicurezza, ma anche un'elevata efficacia.
Le informazioni che la comunità scientifica ha a disposizione sono sempre più dettagliate, e le strade percorribili - a detta degli esperti - sono numerose e tutte potenzialmente valide. Resta però una grande incertezza di fondo, e di fatto non si sa quanto dovremo attendere ancora prima di avere un vaccino anti-hiv pronto per la commercializzazione. Per fare chiarezza sull’argomento, ne abbiamo parlato per Meteo.it con Giovanni Guaraldi, professore di malattie infettive dell'università di Modena e Reggio Emilia e autore di numerose pubblicazioni scientifiche su hiv/Aids.
Tecnologia a mRna, una via percorribile?
Anche se a oggi non c'è una terapia in grado di rimuovere completamente l’infezione da hiv, fortunatamente esistono dei farmaci - detti antiretrovirali, poiché l'hiv è un retrovirus - in grado di allungare con grande efficacia il tempo che intercorre tra il contagio e il manifestarsi della malattia conclamata, l’Aids.
Come spiega Guaraldi: "Questi farmaci antiretrovirali così utili, anche se meno tossici rispetto ad anni fa, possono comunque essere dannosi a lungo termine per il nostro organismo, quindi se fosse possibile utilizzare una strategia differente sarebbe preferibile. Inoltre, è difficile che una persona sia disposta a sottoporsi con questi farmaci a una profilassi pre-esposizione (la cosiddetta prep, ndr) per molti anni, a maggiore ragione in assenza di un problema concreto e solo come precauzione: proprio per questi motivi, l'identificazione di un vaccino permetterebbe di fare un balzo in avanti contro la lotta a questo genere di infezione".
Proprio in questo senso, la vera svolta dopo decenni di tentativi falliti potrebbe essere la tecnologia a rna messaggero (mRna). Anche se è prematuro fare pronostici, la notizia arrivata in piena estate dall'azienda Moderna che ha iniziato i trial clinici per la sperimentazione di una formulazione vaccinale a mRna ha alimentato un certo ottimismo.
Il vaccino anti Covid-19 ha dato una spinta
Il fatto che a produrre un vaccino a mRna contro l’hiv sia proprio Moderna, una delle prime aziende ad avere sviluppato fornire un vaccino efficace contro l’infezione da Covid 19, non è affatto casuale. La pandemia ha messo in evidenza anche più in fretta del previsto il potenziale della tecnologia che si basa sull’utilizzo dell'rna messaggero, e i tanti studi condotti hanno permesso notevoli passi avanti in tempi rapidi nell'analisi di questa tecnica di realizzazione dei vaccini che promette di rivoluzionare la prevenzione per tante altre malattie. Lo conferma Guaraldi: "Potremmo dire che Covid-19 e hiv si aiuteranno a vicenda per identificare nuovi vaccini e le strategie migliori per realizzarli".
Purtroppo, sappiamo già che anche nella migliore delle ipotesi i tempi per la sperimentazione e approvazione del vaccino in grado di prevenire l’Aids saranno molto più lunghi di quelli contro Sars-Cov-2. Come minimo serviranno ancora 5 anni affinché una formulazione vaccinale possa completare l'iter di approvazione, anzitutto perché a oggi infettarsi con l'hiv è molto meno comune che contrarre il Sars-Cov-2, dunque le sperimentazioni saranno più dilatate nel tempo.
Cosa fare per prevenire il contagio da hiv
Vale per la stragrande maggioranza delle malattie: il primo intervento da tenere a mente riguarda la prevenzione, e per questo da anni per l'hiv si cerca di ridurre sempre più il numero di situazioni potenzialmente a rischio, o che in qualche modo ne favoriscono la diffusione. Su questo tema Guaraldi spiega: "Sul campo della prevenzione, ci si è sempre concentrati sull’aspetto comportamentale, ossia sull'utilizzo del preservativo e su altri accorgimenti di vario genere. In aggiunta, oggi è possibile beneficiare di terapie preventive prep anche per esempio per le donne in gravidanza, per impedire la trasmissione dell’infezione dalla madre al bambino".
E non solo. "Questa profilassi preventiva può essere usata per tutte le persone a rischio, ed entro un paio d'anni al massimo saranno disponibili pure dei farmaci iniettabili con la stessa efficacia, che necessiteranno di una sola somministrazione ogni 6 mesi o addirittura 1 anno", continua. In questo modo verrebbe azzerata la possibilità di contagio anche senza l’utilizzo del profilattico, e la modalità di somministrazione dei farmaci per la prep renderebbe tutto più semplice, inclusa l'aderenza terapeutica.
Quindi che benefici introdurrebbe un vaccino rispetto a ciò che già abbiamo ora? "In sostanza, grazie alla prep è già possibile ottenere un risultato simile a quello indotto dalla vaccinazione. Con la terapia che agisce per molti mesi (long acting), poi, la similitudine con un vaccino che necessita di richiamo periodico è ancora più evidente", spiega Guaraldi.
"Bisogna tenere conto", prosegue, "che la profilassi farmacologica prep garantisce già un livello di efficacia vicina al 100%, mentre con la pratica vaccinale il livello di efficacia è ancora tutto da verificare. La differenza più importante tra vaccino e terapia farmacologica è però che il primo stimolerebbe direttamente il sistema immunitario, che per le sue potenzialità straordinarie è certamente la via preferibile. Nel caso dovesse arrivare in commercio un vaccino anti hiv, ci sarà comunque da valutare il rapporto costo-beneficio".
Dalle innovazioni al target 90-90-90
Come anticipato, la prossima novità sul fronte delle terapie è quello dei farmaci long acting. "Lo scenario per il 2022 prevede l'introduzione di queste soluzioni, il cui funzionamento è garantito da due iniezioni ogni 60 giorni senza bisogno di assumere altri farmaci", aggiunge Guaraldi. "Non è una vera novità scientifica, perché si tratta degli stessi farmaci già esistenti che però verranno utilizzati per via intramuscolare invece che per via orale". Ma non è un vantaggio da poco: la nuova modalità di somministrazione potrà avere effetti molto positivi sulla soddisfazione dei pazienti, e garantire maggiore aderenza alla terapia dato il minore impatto che si avrà sulla quotidianità.
Continua Guaraldi: "L’altro aspetto su cui occorre agire è la tempestività nella diagnosi per garantire prontezza nelle cure e mettere al centro il paziente, garantendo da un lato una buona qualità della vita e dall'altro una valutazione complessiva del quadro clinico per prevenire l'insorgenza delle patologie associate all'Aids".
Tutto questo si esplica in 3 obiettivi fissati dalle Nazioni Unite, definiti il target 90-90-90 e ancora decisamente non raggiunti. Il primo valore si riferisce all'obiettivo di arrivare alla diagnosi per almeno il 90% delle persone che sono positive all'hiv: in Italia, per esempio, c’è un problema enorme relativo a coloro che per varie motivazioni non si sottopongono ai test, e di conseguenza il numero di malati inconsapevoli è ancora troppo alto, causando una maggiore facilità di trasmissione della malattia.
Il secondo 90% è la capacità di prendere in carico i pazienti, vale a dire garantire alla stragrande maggioranza delle persone affette da hiv cure adeguate e una sorveglianza costante nel tempo, oltre a un rapporto positivo paziente-medico. E il terzo 90, infine, si riferisce alla percentuale di persone in cura che raggiungono la condizione di carica virale undetectable, che vuol dire migliorare le proprie condizioni di vita, non trasmettere il virus ad altri anche in caso di rapporti sessuali non protetti e quindi rendere la malattia non trasmissibile.