I sistemi di compensazione carbonica funzionano davvero?
Azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050 a livello globale e dimezzarle entro il 2030: sono questi i due obiettivi principali di medio termine condivisi in tutto il mondo per tutelare l’ambiente. E in particolare per combattere il riscaldamento globale, che come sappiamo sta già causando gravi danni in molte aree del nostro pianeta. Affinché questi traguardi siano concreti e raggiungibili, è stato introdotto già con il protocollo di Kyoto del 1997 il cosiddetto sistema di compensazione carbonica.
In pratica è un criterio che, attraverso un meccanismo di debiti e crediti con un proprio controvalore economico, intende promuovere e incentivare nuovi modelli internazionali di sviluppo sostenibile, con un metodo di calcolo concreto e oggettivo che stimola la condivisione e la collaborazione tra i vari paesi.
Dato che le attività antropiche sono strettamente connesse tra loro, l’unico modo per ottenere un risultato tangibile e sostanziale pare essere di stabilire delle regole uniformi per tutti, potenzialmente in grado di porre le basi per un cambiamento radicale e condiviso. L’obiettivo di fondo, peraltro, è stato ribadito più di recente anche nell’accordo di Parigi: ci restano appena 29 anni per raggiungere il bilancio zero nelle emissioni di CO2 prima che sia troppo tardi.
Com'è fatta la compensazione carbonica
Il sistema di funzionamento dei crediti di carbonio è alquanto articolato, ma in linea di principio ha uno scopo molto semplice: bilanciare le emissioni nocive con delle iniziative a tutela dell’ambiente e della transizione ecologica. Il punto di partenza del meccanismo è la misurazione delle emissioni di CO2 prodotte da un’azienda. Quest’ultima deve anzitutto cercare di ridurre il più possibile la quantità di anidride carbonica prodotta, mentre la restante parte non eliminabile viene catalogata e convertita in un equivalente economico sotto forma di crediti di carbonio.
Questi crediti, certificati da associazioni internazionali e oggetto di compravendite a livello di mercato, devono essere impiegati per favorire la decarbonizzazione su scala globale, attraverso il supporto economico-finanziario a progetti di protezione ambientale. Nella maggior parte dei casi si tratta di iniziative rivolte ai paesi più poveri e in via di sviluppo, affiancando ai benefici ecologici e climatici anche l’occasione di offrire servizi utili alle popolazioni locali. Insomma, questo sistema di compensazione carbonica è stato ideato con l'intento di instaurare un circolo virtuoso in grado di spostare il mercato verso un’economia più sostenibile e più incentrata sul rispetto della natura e del pianeta Terra.
Un sistema che scricchiola
Come detto, le risorse economiche provenienti dai crediti per la compensazione del carbonio sono fondamentali per i progetti che cercano di proteggere e ripristinare alcuni degli ecosistemi minacciati dai gas serra e dalle attività umane inquinanti. Ma quanto è davvero efficace il meccanismo? Oltre alle perplessità che fin dal principio sono sorte in merito all'effettiva tenuta del modello, alcune inchieste giornalistiche molto recenti condotte dal Guardian e da Unhearted hanno evidenziato come all'atto pratico il sistema alla base del meccanismo dei crediti del carbonio sia alquanto difettoso.
In particolare, l’attenzione si è focalizzata su alcune compagnie aree, che come noto sono tra le aziende principali produttrici di CO2. In linea teorica queste aziende dovrebbero stimare i danni provocati dai velivoli lungo i loro tragitti e poi compensarli grazie a progetti per la tutela dell’ambiente, con risultati concreti in termini di alberi risparmiati dalla deforestazione e dal disboscamento. Il tutto naturalmente basandosi sul sistema dei crediti, anche se molto spesso le previsioni sono state incoerenti, le quantificazioni sono risultate imprecise e i risultati finora sono stati deludenti.
E alle perplessità sulle singole quantità, che sono risultate spesso sovrastimate (nel caso degli effetti benefici degli interventi di compensazione) o sottostimate (nel caso delle quantità di CO2 emesse), si è aggiunta poi una criticità intrinseca. Infatti valutare il beneficio dei progetti di compensazione attraverso previsioni future incerte, con molte variabili da considerare, si sta rivelando molto complesso, con la tendenza ad annunciare impatti dei progetti molto superiori alla loro effettiva portata concreta.
Molti esperti di modelli di deforestazione hanno infatti denunciato l’inconsistenza di questo sistema di valutazione, con la tendenza diffusa a gonfiare le minacce alle foreste per far risultare più incisivi e ampi gli interventi a tutela dell'ambiente. Nonostante questo, comunque, tutti hanno ribadito l’importanza di queste iniziative sia in termini economici che ambientali, auspicando non l'abbandono del sistema ma un suo perfezionamento.
Modelli più precisi per la neutralità climatica
Negli ultimi anni il mercato delle compensazioni di carbonio è in forte evoluzione, anche perché purtroppo le emissioni di CO2 sono tuttora in continuo e costante aumento. Allo stesso tempo, sul fronte virtuoso, stiamo assistendo a un’enorme ondata di nuove strategie aziendali, con imprese e multinazionali che hanno cambiato il proprio modello per favorire la neutralità carbonica. Ne è testimonianza il progressivo aumento degli investimenti in sistemi di compensazione, anche se ancora non basta.
In particolare, il mercato dei sistemi di compensazione carbonica nel 2019 è stato di 215 milioni di dollari, ma per rispettare gli accordi di Parigi deve crescere enormemente arrivando a 50 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. In pratica, aumentare di più di 200 volte in meno in un solo decennio. Se questi progetti dovranno svolgere un ruolo essenziale nella decarbonizzazione, è fondamentale però che le metodologie utilizzate per svolgere i calcoli siano precise, con modelli rigorosi per una corretta computazione dei crediti di carbonio. Ed è questo un altro fronte su cui negli anni a venire sarà decisivo lavorare.