Covid, a cosa servono i farmaci antivirali: l'intervista
La lotta contro la pandemia di Covid-19 si combatte su più fronti: da un lato i vaccini e le misure di contenimento per la riduzione dei contagi, e dall’altro le terapie farmacologiche dirette contro il virus per chi ha già un'infezione in corso. Queste ultime comprendono gli antivirali, una classe di farmaci in grado di ridurre le complicazioni dell’infezione e dunque il rischio di essere ricoverati in ospedale o addirittura di non sopravvivere alla malattia.
Dai primi giorni di gennaio è iniziata anche nel nostro paese la distribuzione del nuovo antivirale contro il Sars-Cov-2 chiamato molnupiravir, sviluppato dalla casa farmaceutica Merck (in Italia, Msd). Questo farmaco, insieme al cugino remdevisir, apre le porte a nuove strategie di cura, soprattutto per le persone che hanno patologie pregresse o un'età avanzata, e dunque sono a rischio elevato di sviluppare la malattia in forma grave.
Per fare il punto sulla situazione attuale, e per comprendere la reale utilità degli antivirali nella gestione dell'emergenza sanitaria, ne abbiamo parlato per Meteo.it con Giovanni Di Perri, professore ordinario di malattie infettive dell’università di Torino.
Antivirali, farmaci da usare tempestivamente
Come spiega Di Perri: "Anzitutto, il Covid-19 è una malattia infettiva atipica che si origina come infezione della parte alta dell’albero respiratorio. Dopo 7 o 8 giorni, però, nei pochi casi in cui l'infezione giunge a livello polmonare si verifica un processo infiammatorio ulteriore, indipendente dall’agente patogeno che ha causato la malattia. La prima fase del Covid-19, cioè i giorni immediatamente successivi a quando viene riscontrata la positività, rappresenta il momento migliore - nonché l'unico possibile - per l’utilizzo dei farmaci anti-infettivi".
Questi anti-infettivi comprendono in realtà, oltre angli antivirali, gli anticorpi monoclonali, che come noto sono arrivati sul mercato più rapidamente. Ma, come ha chiarito Di Perri, "i monoclonali con la diffusione della variante omicron - e la conseguente variazione nella proteina spike - hanno in molti casi perso di efficacia. L’unica eccezione riguarda il farmaco sotromivab, un monoclonale già diffuso in Italia da tempo che però ora è molto difficile da reperire proprio perché è l’unico che ha mantenuto un buon grado di efficacia".
Quando si giunge a uno stadio avanzato della malattia, con il processo infiammatorio che coinvolge i polmoni, le terapie anti-infettive non sortiscono più alcun effetto, e per questo si prosegue con altri trattamenti e con l’assistenza ventilatoria. "L’efficacia della cura con gli antivirali cala nel tempo e con il progredire della malattia", ribadisce Di Perri, "e per questo è una corsa contro il tempo per svolgere trattamenti in maniera tempestiva. In quest'ultimo periodo, per quanto continui a essere complicato, la capacità di rintracciare le persone positive in maniera rapida è migliorata notevolmente rispetto ai primi mesi del 2020". Dunque le possibilità di trarre beneficio dalla disponibilità degli antivirali sono di molto aumentate.
Tre antivirali con caratteristiche diverse
Il primo antivirale arrivato in Italia - in senso cronologico - è remdevisir, un farmaco molto costoso con profili di efficacia contrastanti e per questo non raccomandato contro il Covid-19 dall'Organizzazione mondiale della sanità. "Questo antivirale, da somministrare per via endovenosa, funziona poco per i pazienti già gravi, ma ha una buona efficacia solo nei 3 giorni successivi all’esordio dei sintomi”, chiarisce Di Perri. "Inoltre, la somministrazione che richiede il ricovero in day-hospital per 3 giorni di fila complica un poco l'iter di trattamento".
Un altro farmaco da poco sbarcato in Italia è molnupiravir, una pillola da somministrare per via orale (quindi in forma più agevole) che deve essere assunta entro 5 giorni dall’insorgenza dei primi sintomi. È molto indicato per i pazienti ad alto rischio e con patologie preesistenti gravi come neoplasie, insufficienza renale, immunodeficienze, obesità o malattie cardiovascolari: "L’efficacia ufficiale è del 30%, ma probabilmente quella reale potrebbe essere superiore, perché negli studi dalla fase due in poi sono stati arruolate poche persone vulnerabili (soltanto il 14% era over 60), e dunque la statistica sui casi gravissimi emersi è risultata un po' debole".
L’obiettivo della somministrazione di molnupiravir è ridurre il rischio di manifestazioni gravi del Covid-19 e, considerando la via di somministrazione semplice, sulla carta sarebbe potuto essere uno strumento molto valido. Purtroppo, però, la sua efficacia non è altissima, e inoltre è stato criticato per gli effetti collaterali che può causare: come riportato in uno studio pubblicato su Nature, la somministrazione di questo farmaco potrebbe indurre l’insorgenza di varianti preoccupanti o provocare effetti sul dna delle cellule umane. Proprio per questo motivo la Food and Drug Administration statunitense ne ha ridotto l’uso, vietandolo ad alcune categorie di pazienti.
Il terzo antivirale, quello meno "chiacchierato", è paxlovid, sviluppato dalla statunitense Pfizer e attualmente in fase di validazione (rolling review) dall’Agenzia europea per i medicinali Ema. Il farmaco potrebbe essere utile per aiutare gli adulti non gravi a ridurre la possibilità di sviluppare la malattia in forma severa. Come spiega Di Perri: "Facendo riferimento ai dati oggi a disposizione, la somministrazione per bocca per 5 giorni ha un efficacia dell’80% circa nel ridurre le manifestazioni gravi".
Gli antivirali non sono un'alternativa al vaccino
"Il beneficio delle terapie antivirali è importante anche per le strutture ospedaliere", aggiunge Di Perri, "in quanto riducono la possibilità di ricovero. Per questo è importante che tutti i medici siano in grado di indirizzare correttamente i propri pazienti". Ma se gli antivirali costituiscono un valido metodo di trattamento nei primi stadi del Covid-19, soprattutto nei pazienti con maggiore probabilità di complicanze gravi, non rappresentano certo la via preferenziale per risolvere l'emergenza sanitaria.
La consapevolezza della presenza di cure come monoclonali o antivirali non deve infatti indurre le persone a rinunciare alla profilassi. Lo stesso Di Perri sottolinea: "Queste terapie non sono alternative ai vaccini, in quanto questi ultimi sono in grado con le 3 dosi di garantire una protezione concreta importante". È bene sempre ricordare che oggi la situazione sarebbe molto peggiore, sia dal punto di vista economico sia sanitario, se non ci fosse stata la campagna di vaccinazione nei mesi scorsi. "Omicron ha una diffusività spaventosa e ai limiti della plausibilità biologica", aggiunge Di Perri. "Per fare una battuta, sembra quasi si trasmetta pure per telefono. E se la variante delta fosse ancora prevalente, senza i vaccini oggi avremmo probabilmente una situazione da inferno dantesco".
Qual è allora il messaggio da ricordare? "Chiunque risulti positivo, e abbia un profilo anagrafico o patologico a rischio, dovrebbe rivolgersi prontamente al proprio medico o a un centro di cura per la somministrazione della terapia antinfettiva più efficace, che in alcuni casi prevede proprio gli antivirali". Tempestività, insomma, è la parola chiave.