Quanto inquinano davvero i cosmetici?
Sempre più persone utilizzano creme, rossetti, trucchi e prodotti per la pelle nelle versioni green e anti-inquinamento, con l'idea di dare il proprio contributo tangibile nel ridurre l'impatto ambientale del make-up e di diminuire il consumo di plastica. Un intento che senz'altro fa onore sia a chi produce questi prodotti sia a chi li compra, ma che non di rado si concretizza poi in modo discutibile. Molto spesso, infatti, da consumatori non è facile rendersi conto appieno della situazione, confondendo gli slogan del marketing con la sostenibilità autentica, cadendo negli inganni del greenwashing o attribuendo caratteristiche non veritiere a prodotti formalmente definiti - a livello di etichetta - come biodegradibili o naturali.
Si tratta di un tema complesso e ricco di sfaccettature, per il quale sarebbe sbagliato fare di tutte le erbe un fascio. Alcune informazioni generali possono però fare da bussola quando ci si trova davanti a bollini, certificazioni ed elementi vari, per stare alla larga per lo meno dai fraintendimenti più comuni, e allo stesso tempo non perdere di vista il quadro generale focalizzandosi su dettagli di poco conto.
Cosmesi, un settore sotto la lente d'ingrandimento
Partiamo dal tema più in generale. "Anzitutto, la pressione sulle aziende cosmetiche riguardo al tema della sostenibilità è molto alta, perché i loro prodotti non sono beni essenziali e quindi anche piccoli sgarri non vengono perdonati", spiega a Meteo.it Beatrice Mautino, biotecnologa, divulgatrice scientifica e autrice di diversi libri e inchieste sull'argomento. "Nella realtà dei fatti, i prodotti per lo scrub, i glitter e i cosmetici impattano sull'ambiente ben poco rispetto ad altri beni di consumo, ma nonostante ciò le aziende del settore hanno dovuto investire tanto per potere stare sul mercato, eliminando le microplastiche dai prodotti di risciacquo e riducendo al minimo le ripercussioni ambientali". Insomma, un impatto complessivo dello zero-virgola percento, ma su cui i riflettori sono ben accesi e gli errori vengono difficilmente perdonati.
Peraltro la difficoltà è anche a livello normativo, perché cambiare una definizione vuol dire imporre la modifica di intere filiere produttive, spesso facendo la differenza più a livello economico che ambientale. "Molte aziende fino a poco tempo fa sembravano perfettamente allineate alle varie normative, ma ora è in corso un'ulteriore revisione della definizione formale di microplastica, che di fatto potrebbe portare a togliere dal mercato diversi prodotti", ha aggiunto Mautino.
Consumatori attenti, ma forse poco consapevoli
Se da un lato chi compra è sempre più focalizzato sulla tutela dell’ambiente, dall'altro pure il marketing fa leva sulla sostenibilità, sulle certificazioni legate al bio e al naturale per attrarre l'interesse del consumatore. Ma, nella realtà dei fatti, difficilmente ci si rende conto dell'effettivo livello di sostenibilità del prodotto che si utilizza. Insomma, le persone sono preoccupate di utilizzare prodotti con uno scarso impatto, cercando per esempio di ridurre al minimo il consumo di plastica, ma non di rado si incappa involontariamente in errori di valutazione.
"Non ci sono spiegazioni semplici", ha specificato Mautino, "tutto è molto complesso e sfaccettato, e per il consumatore è davvero difficile capire se il cosmetico sia realizzato bene per non impattare, oppure se il verde della confezione sia solo un diversivo, in perfetto stile greenwashing". Per agevolare la scelta sono state introdotte delle certificazioni come Eco-Bio, che cercano perlomeno di definire dei criteri uguali per tutti, anche se non hanno una corrispondenza legale dato che non esistono certificazioni bio per la cosmesi.
"Questo sistema di etichettatura si basa di fatto su delle liste nere di ingredienti, come petrolati o altri composti sintetici", ha spiegato Mautino. "Per esempio, per ottenere la classificazione di naturale l’ente certificatore stabilisce una percentuale di ingredienti naturali che devono essere presenti, ma per ogni prodotto cambiano i parametri. In alcuni casi, come per smalti e saponette, pure con percentuali infime di ingredienti naturali, al di sotto del 10%, si può ottenere l’etichettatura di prodotto naturale". E questo è solo un esempio dei tanti che la stessa Mautino ha raccolto nel suo La scienza nascosta dei cosmetici. Insomma, nella stragrande maggioranza dei casi il consumatore non è a conoscenza di tutte queste informazioni, ed effettua scelte poco consapevoli basate più sulla percezione che sulla sostanza.
Discorso a parte merita poi tutto il mondo del biodegradabile. Spesso viene associato a un minor impatto ambientale, in quanto si ritiene che un prodotto non inquini solo perché si degrada in fretta. "Ma non è così", ha precisato Mautino. "Biodegradabile di per sé non vuol dire alcunché, perché i sottoprodotti che ne derivano possono comunque essere inquinanti". Anche la presunta relazione tra naturale e biodegradabile non ha affatto fondamento scientifico: "La biodegradabilità di un prodotto è il risultato di un claim associato a un processo che si fa in laboratorio. E molti ingredienti di origine naturale non sono affatto biodegradabili".
Dunque può succedere che un prodotto risulti essere naturale ma allo stesso tempo non biodegradabile, mandando l’utente finale nella più totale confusione. "Il rischio", ha ribadito Mautino a Meteo.it, "è che tutto questo affastellarsi di bollini, di slogan e di parole chiave si traduca in prodotti che dal punto di vista dell’impatto ambientale cambiano ben poco, e che gli investimenti siano semplicemente indirizzati in base alle mode".
Il falso mito dei prodotti allo stato solido
Un tema molto chiacchierato riguardo a cosmesi e impatto ambientale riguarda i prodotti solidi, proposti come meno impattanti anzitutto perché evitano il packaging in plastica. Ma, come ha chiarito Mautino, il fraintendimento è dietro l'angolo: "Nella realtà dei fatti, questa innovazione ideata principalmente per scopo di marketing non determina necessariamente un minore impatto ambientale: un prodotto solido impacchettato con della carta non per forza inquina meno di uno liquido contenuto in un flacone di plastica". Dipende da cosa c'è dentro. Bisognerebbe entrare nei dettagli specifici, fare ricerche approfondite e analizzare per ciascun caso il Life Cycle Assestment (Lca), valutando l'impatto ambientale di un prodotto lungo tutta la sua filiera e per tutto il ciclo di vita.
I cosmetici più inquinanti
Pur nella consapevolezza che i prodotti cosmetici andrebbero valutati caso per caso, ce ne sono alcuni che sono certamente molto più inquinanti di altri, a cui è necessario prestare più attenzione sia come consumatori sia come produttori. "Tra i peggiori ci sono i glitter, che sono composti interamente di plastiche e troppo spesso vengono gettati nello scarico", ha precisato Mautino.
"Anche la crema solare è molto impattante", ha aggiunto, "e per questo è necessario prestare attenzione a non cospargersi con il prodotto prima di entrare in acqua, perché le sostanze che filtrano i raggi solari hanno effetti devastanti sull’ecosistema marino, in particolare sui molluschi e sui pesci". Anche le creme anti-cellulite alla caffeina, come hanno confermato ricerche scientifiche ad hoc, sono pericolosissime per i molluschi, ed entrare in acqua con prodotti di questo genere determina conseguenze importanti.
Ovviamente serve trovare dei compromessi. Un prodotto come la crema solare, per esempio, è indispensabile per proteggere la nostra salute, dunque non è affatto proponibile di sospenderne l'uso per questioni ambientali. Già essere consapevoli dei rischi, però, può incentivare comportamenti virtuosi per impattare il meno possibile.
Qualche consiglio per inquinare meno
Al di là delle questioni scientifiche, commerciali e di certificazione, c'è qualcosa che possiamo fare nella quotidianità per inquinare il meno possibile? "Il consiglio più sensato e semplice è quello di consumare meno prodotti inquinanti", ha risposto Mautino. "Se per esempio si effettua la routine di cura del viso con 10 prodotti, anziché sostituirli con altrettanti prodotti con il bollino bio sarebbe più utile ridurli in numero, anche disinteressandosi delle certificazioni specifiche".
L'altra abitudine diffusissima, ma sbagliata, è togliersi il trucco e sciacquarsi la faccia usando detergenti schiumosi e oleosi. "Sciacquare il make-up con l’acqua e mandarlo nello scarico è un altro errore comune", ha concluso Mautino. "Decisamente meglio tornare al dischetto in cotone: semplice e con un impatto ambientale minore, a patto ovviamente che non venga gettato nello scarico ma nel sacchetto dell'indifferenziata".