La paura del Covid-19 si sta trasformando in noia e stanchezza
Nelle ultime settimane il numero di nuovi casi di Covid-19 in Italia (e non solo) ha ripreso a correre forte: la variante chiamata Omicron sta diventando maggioritaria in Italia, e il numero dei contagiati quotidiani continua a crescere. Tra le terze dosi, il timore continuo di essere contagiati e la minaccia latente di nuove restrizioni - o peggio ancora di lockdown mirati - ormai la maggior parte delle persone si sente e dichiara di essere stanca.
Dopo quasi due anni di limitazioni e di attenzioni continue, e un anno di campagna vaccinale intensa e partecipata, la speranza collettiva era di potere affrontare una stagione invernale in serenità, tornando a trascorrere giornate in compagnia di familiari e amici quasi come nella vecchia normalità. Purtroppo non è andata proprio così: per esempio, più di 2 milioni di italiani hanno trascorso il Natale in quarantena, e moltissimi altri tra una festività e l'altra si sono sottoposti a un tampone (rapido o molecolare, superando la quota simbolica di un milione di test al giorno) per tentare di scongiurare la possibilità di contagiare anziani o persone con uno stato di salute precario.
Di fronte a questo stress da pandemia che perdura nel tempo, il sentimento di insofferenza e stanchezza è sempre più diffuso: e se da un lato la preoccupazione rimane, dall'altro prevalgono sempre più spesso la noia e la voglia di tornare a vivere una quotidianità normale.
Un nuovo modo di affrontare la pandemia
Durante la primavera del 2020, quando si è scoperto per la prima volta il nuovo coronavirus Sars-Cov-2 e le possibili conseguenze che avrebbe potuto portare, moltissime persone hanno adottato comportamenti estremamente prudenti, convintissime nel rimanere isolate e nel ridurre al minimo i contatti per limitare quanto più possibile la diffusione del tanto temuto virus.
A quasi due anni di distanza, lo stato emotivo della popolazione in questo inizio 2022 appare molto diverso: prevalgono infatti la stanchezza e la rassegnazione, se non la voglia di evasione da questo stato di emergenza continuo. Molte persone non tollerano più le notizie e gli aggiornamenti continui riguardanti il Covid-19, e non paiono più disposte a sacrificare le loro abitudini per una situazione che perdura da troppo tempo.
Un recente sondaggio condotto da Ipsos negli Stati Uniti, per esempio, ha messo in luce che la maggior parte delle persone oltreoceano ritiene che nei prossimi mesi il numero dei contagi aumenterà a causa della variante Omicron. Il dato rilevante, però, è che una parte molto consistente degli intervistati ha dichiarato di non essere disposta a modificare i propri piani a causa dell’aumento del rischio. Insomma, il messaggio emerso dall'indagine è chiaro: il Covid-19 c’è, ma basta rinunce troppo pesanti da sopportare. Un sentiment collettivo rafforzato anche da una situazione economica complicata, con parecchi settori che non potrebbero sopportare nuove pesanti restrizioni.
La paura che svanisce con il tempo
Per tutto questo esiste una spiegazione scientifica: in termini semplici, le persone si sono in sostanza abituate alla situazione di emergenza, e questa non desta più la stessa preoccupazione di prima.
Il risultato che si è determinato non è molto diverso da quello di una terapia d’esposizione ben riuscita, ossia quella molto utilizzata per trattare persone che soffrono di disturbo da stress post traumatico e varie tipologie di fobia. Durante questo trattamento, di solito la persona in questione si desensibilizza progressivamente nei confronti di una situazione angosciante o generatrice di ansia, proprio a seguito della costante esposizione al medesimo stimolo. Un esempio tipico è l’aracnofobia: la vista di un ragno stimola l’amigdala, che rileva il pericolo e induce la persona ad agire per proteggersi dalla minaccia. Ma dopo avere visto tante volte un ragno, il lavoro dell’amigdala smette di essere preponderante e diventano dominanti altre aree del cervello che innescano altri meccanismi cognitivi più razionali e meno impulsivi.
Con il Covid-19 è successa più o meno la stessa cosa. Avere sentito per mesi e mesi notizie allarmanti ai telegiornali, letto su siti di informazioni messaggi sempre più preoccupanti e avere sperimentato l’esperienza di entrare in contatto con un positivo, o addirittura avere superato l'infezione virale, ha desensibilizzato le persone. Il risultato è ben più prevedibile di quello che si può pensare: molte persone sono stanche di avere paura, e ormai il mostro tanto cattivo sembra in apparenza meno cattivo di quanto sia realmente.
L'effetto della minore percezione del rischio
La ridotta attenzione al rischio può avere delle ripercussioni molto gravi sulla salute personale e su quella pubblica. La paura del contagio e il timore delle possibili conseguenze del Covid-19, insieme al senso civico, sono considerate essenziali per il rispetto delle regole. Ma cosa accade quando la percezione individuale cambia e il timore di infettarsi diventa essere meno presente rispetto a qualche tempo fa? Il rischio è che molte persone fatichino a rispettare le misure governative anti-contagio, considerando le restrizioni non più accettabili, oppure eccessive. Come è facile intuire, se i benefici delle misure di prevenzione del contagio non vengono più percepiti come tali, sarà molto difficile adottare strategie veramente efficaci per limitare la diffusione del Covid-19.
Un ruolo importante in questa partita viene svolto anche dai media e dai social network, che (nonostante una serie di storture comunicative) hanno costituito un punto di riferimento importante per tutte le generazioni durante i primi lockdown. Ora, però, pure le notizie delle terapie intensive in crescita e i racconti strazianti di morti a causa del Covid-19 hanno meno impatto sulla percezione pubblica.
Occorrerà quindi adottare strategie nuove per raggiungere efficacemente le persone, e per fare intendere l'importanza di continuare a insistere con la prevenzione - oltre che con la vaccinazione - per superare la pandemia con il minore costo possibile in termini di vite umane, di salute pubblica e di costo economico.