Dalla plastica ai monopattini, la pandemia ha compromesso lo sviluppo sostenibile?
Tra gli effetti infausti del Covid-19 c'è pure la sostenibilità, in senso lato. Basta pensare ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile della cosiddetta Agenda 2030 dell'Onu, e in particolare al contrasto alla povertà, alla riduzione delle disuguaglianze, al benessere della specie umana o alla garanzia di un'educazione di qualità per tutti: traguardi che si pongono oggi come sfide ancora più ardue di quanto già fossero nel pre-pandemia.
"Secondo le stime a disposizione oggi, la situazione è destinata a peggiorare nel 2020 per 9 dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile è destinato a peggiorare. Solo per un paio ci sarà un miglioramento, e per i restanti è ancora troppo presto per dare una valutazione dell'impatto dovuto al nuovo coronavirus". Così sintetizza a Meteo.it la situazione Enrico Giovannini, docente all'università di Roma Tor Vergata e portavoce dell'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS). Proprio a inizio ottobre, peraltro, la stessa ASviS ha pubblicato il suo articolato Rapporto annuale con i dati 2019 e le prospettive 2020 - qui in pdf - in cui si ribadisce senza mezzi termini che la pandemia fa male allo sviluppo sostenibile.
Il bicchiere mezzo pieno e quello mezzo vuoto
Se da un lato il giudizio complessivo è inequivocabilmente grave, in particolare per la situazione italiana all'interno del contesto europeo, non c'è dubbio però che ci siano anche segnali incoraggianti. "La buona notizia è che la risposta alla crisi va nella direzione di riconoscere nello sviluppo sostenibile un propulsore straordinario", continua Giovannini. "Questo vale sia in termini di orientamento delle politiche, comunitaria e nazionale, sia come comportamenti di imprese, consumatori e risparmiatori, che non a caso stanno privilegiando sempre più gli investimenti sostenibili".
In questo particolare momento storico, con una nuova ondata di contagi che sta investendo l'Italia (e non solo), la situazione generale non potrà che aggravarsi ulteriormente. "La seconda ondata determinerà una perdita ancora più forte di capacità produttiva", commenta Giovannini, "a meno che il governo non sia in grado di intervenire con risorse adeguate. Non possiamo però lavorare solo sulle medie statistiche, ma dobbiamo essere capaci di leggere la realtà nelle sue caratteristiche multiformi: anche con una contrazione del pil italiano del 10%, grazie agli interventi si prevedeva che il reddito delle famiglie avesse una riduzione del 3%, peraltro con un aumento della capacità di risparmio. Il che vuol dire, che, una volta finita la fase di incertezza, la domanda per consumi potrebbe avere un forte rimbalzo".
ASviS, in particolare, evidenzia il bisogno di orientare spese e investimenti laddove ci sono le possibilità di accelerazione. "Con la pandemia abbiamo imparato che le non linearità esistono e sono molto forti, in positivo e in negativo. Oggi ne stiamo sperimentando una drammatica di carattere negativo, ma sappiamo che grazie all’impegno della politica, delle persone e delle aziende si possono determinare non linearità positive", aggiunge. Esempio emblematico di questa potenzialità è il rimbalzo dell'economia misurato durante l'estate, molto più forte del previsto, segno della vitalità della nostra società e della prontezza a convertire le produzioni.
Forchette di plastica, monopattini e web
In questi mesi lo stiamo vedendo chiaramente: un ritorno massiccio all'uso di plastica monouso per garantire il rispetto delle misure di sicurezza sanitarie, un'impennata della micromobilità sostenibile tra monopattini e simili, la riduzione degli spostamenti a lungo raggio e l'utilizzo del digitale e di internet in un trend di crescita costante. Tutto ciò, naturalmente, racconta molto anche sul fronte delle azioni di sostenibilità.
"C’è indubbiamente un ritornare al passato su alcuni fronti", commenta Giovannini, "ma alcune maturità sono ormai acquisite e consolidate. C'è di nuovo un uso massiccio della plastica nei ristoranti o nelle mense, è vero, ma credo che appena sarà finita l’emergenza sanitaria si tornerà a bandirla. Il cambiamento culturale è avvenuto, e credo ci sia la consapevolezza che il temporaneo ritorno alla plastica sia un costo necessario in un contesto emergenziale. Lo stesso vale per i trasporti: molti hanno compiuto scelte di mobilità dolce non solo per motivi sanitari, ma anche per una questione di sostenibilità". Insomma, un cambio d'abitudine che potrebbe rimanere a lungo termine, quando finita la fase di smartworking forzato si tornerà a lavorare fuori casa, magari non in ufficio ma in spazi di coworking distribuiti nelle città. "La direzione è quella di un disegno policentrico delle città, in cui le distanze individuali da percorrere siano inferiori", conclude Giovannini.
Anche l'uso del web è un tema all'attenzione di chi si occupa di sostenibilità, soprattutto per il crescente impiego di risorse ed energia che il suo uso comporta. Se da un lato è evidente che una riunione organizzata in videochiamata comporta meno inquinamento da trasporti rispetto al far spostare fisicamente le persone, dall'altro la gestione dei server non ha un impatto del tutto trascurabile. "I server diventano sempre più efficienti sul piano energetico ogni volta che se ne aggiornano le tecnologie", sintetizza Giovannini , "ma se per assicurare la funzionalità dei servizi occorre attivarne sempre di più, allora le emissioni non possono che aumentare. Il tema vero, qui, è la capacità di fare il prima possibile la transizione ecologica di tutti i settori, accelerando la produzione di energie rinnovabili, l'unica strategia in grado di assorbire anche questi fenomeni".
La visione sistemica: Italia, Europa, mondo
Siamo a pochi giorni dall'uscita formale degli Stati Uniti dall'accordo di Parigi per la lotta al cambiamento climatico e la riduzione delle emissioni, ed è evidente che il tema della sostenibilità debba continuare - anche nel post pandemia - a essere affrontato sia in ottica globale sia su scala locale. "Al di là del fatto che la decisione degli Stati Uniti è revocabile, o comunque ribaltabile nella sostanza, il quadro internazionale è chiaro e va nella direzione della decarbonizzazione", commenta Giovannini. Il Giappone ha appena annunciato il proprio impegno a raggiungere la neutralità carbonica (ossia l'azzeramento delle emissioni nette di anidride carbonica) entro il 2050. La Cina si è posta lo stesso obiettivo per il 2060. E le politiche dell'Unione europea vanno in questa direzione.
"Pare evidente che l'impostazione globale sia orientata verso la sostenibilità e l’attuazione dell’accordo di Parigi, con una visione condivisa e che si sta facendo sempre più strada nel mondo. Tuttavia, per l'Italia riteniamo urgentissima la revisione del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima 2030: a oggi non è in linea con l'obiettivo europeo di un taglio delle emissioni del 55% entro il 2030, e oltre alla questione strettamente ambientale si tratta di un tema centrale e decisivo anche nell'assegnazione delle risorse del Next Generation Eu. Complessivamente ammontano a 750 miliardi di euro, il cui 37% deve andare a combattere la crisi climatica".
E al di là delle decisioni politiche, prima fra tutte quella d'oltreoceano con l'auspicio largamente condiviso che gli Stati Uniti possano ritornare sui propri passi e riacquisire a quella vena multilateralista che ne ha caratterizzato la politica estera per decenni, a fare la differenza sarà il mercato. "Negli Stati Uniti stanno chiudendo centrali a carbone, i singoli Stati membri investono in energia rinnovabile, e al netto dell'effetto pandemico il trend è chiaro: il cambiamento reale verso la sostenibilità va oltre - e in certi casi anticipa - quello che dice la politica", chiosa Giovannini.