Svolta Onu sulla cannabis, cosa cambia
Mercoledì 2 dicembre 2020 resterà nella storia come una data decisiva per la legislazione internazionale sulla cannabis. La Commission on Narcotic Drugs (Cnd), braccio operativo delle Nazioni unite sul fronte degli stupefacenti, si è espressa a favore della rimozione della marijuana dalla lista nera delle sostanze più pericolose.
Una delibera attesa da tempo e secondo alcuni persino tardiva, che aggiorna un quadro normativo internazionale fermo da quasi sessant'anni, decisamente superato dalle evidenze scientifiche emerse nel corso dei decenni a proposito delle potenzialità terapeutiche della pianta. E anche se a livello globale la decisione non ha affatto messo tutti d'accordo, né potrà immediatamente tradursi in cambiamenti tangibili, il valore della novità è anzitutto simbolico e culturale. E per questo di portata molto maggiore rispetto a un singolo provvedimento normativo nazionale.
Tutti i dettagli sulla decisione
Riunita a Vienna, in Austria, la commissione Cnd si è espressa per voce dei 53 stati membri che compongono l'organo esecutivo Onu per la politica globale sulle droghe. I voti a favore sono stati 27, quelli contrari 25 e c'è stata un'astensione: vale a dire, numeri alla mano, che sarebbe bastata una sola preferenza favorevole in meno per ribaltare l'esito della consultazione.
Ma su cosa si è votato, esattamente? In termini tecnici, ci si è espressi sulla rimozione della cannabis dalla Tabella 4 della Convenzione unica sugli stupefacenti. In questo documento, che risale al 1961, sono raccolti in un unico elenco (la Tabella 4, appunto) tutte le sostanze stupefacenti psicoattive classificate con il massimo livello di pericolosità. E fino al primo dicembre tra queste - insieme alle sostanze più dannose e a forte rischio di dipendenza mortale come la cocaina e oppiacei come l'eroina - compariva pure la marijuana.
A pesare sulla vittoria finale del sì - per un soffio - sono stati i voti dei paesi americani e di quelli europei. Gli stati del Vecchio continente hanno infatti votato in massa a favore della rimozione dalla lista, Italia inclusa e con la sola eccezione dell'Ungheria. Opposta, invece, la posizione dei paesi asiatici e di quelli africani, che nella quasi totalità dei casi si sono espressi per il no, inclusi Giappone, Russia e Cina. L'Ucraina, invece, è il paese che ha deciso di astenersi.
Una decisione in nome della scienza
Anche se l'esito della consultazione ha suscitato l'entusiasmo dei sostenitori della legalizzazione, nella pratica sulla decisione hanno pesato anzitutto le evidenze scientifiche. Lasciare la cannabis nella Tabella 4, infatti, avrebbe significato negarne le proprietà terapeutiche, che invece oggi sono state accertate per una lunga serie di patologie e condizioni come l'epilessia, il dolore cronico, la sclerosi, la malattia di Parkinson e in generale nel trattamento dei pazienti oncologici. In particolare, è dimostrato che i trattamenti a base di cannabis - adeguatamente dosati - generano effetti benefici a livello del sistema nervoso.
Non si può negare, inoltre, che abbia influenzato il voto anche il parere dell'Organizzazione mondiale della sanità (l'Oms). Nel gennaio 2019 infatti era stata messa nero su bianco una serie di sei raccomandazioni, fra cui proprio quella di togliere la marijuana dalla black list degli stupefacenti più pericolosi. Insieme anche alla rimozione dei controlli internazionali sul cannabidiolo (Cbd), uno dei principi attivi della cannabis. E la riunione del 2 dicembre è stata fissata proprio per riesaminare le raccomandazioni dell'Oms, che a loro volta erano state frutto di un lungo lavoro di revisione della letteratura scientifica a disposizione.
Conseguenze e prospettive
L'effetto tangibile della novità è sostanzialmente nullo, per ora. Sia a livello di singoli paesi sia per i controlli internazionali, infatti, fanno fede le normative nazionali degli stati, che naturalmente non possono essere modificate da una decisione dell'Onu. Tuttavia, non si può negare che da dicembre 2020 le cose dovranno iniziare seriamente a cambiare. Anche perché sono molti i paesi che considerano le indicazioni e le linee guida dell'Onu come decisive per gli aggiornamenti normativi nazionali.
Aver di fatto formalizzato le proprietà terapeutiche della cannabis farà con grande probabilità da stimolo per l'apertura di nuovi filoni di ricerca medica in aree terapeutiche nuove o già consolidate, ma anche di siti per aumentarne la produzione a scopo medico-scientifico. Finora, infatti, la possibilità di impiegare la marijuana come trattamento farmacologico è esistita più sulla carta che nella pratica: basta pensare che il fabbisogno italiano sarebbe di circa 2mila chilogrammi all'anno, e nel nostro paese (in particolare allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze) non se ne produce nemmeno il 10% del necessario. E anche con le importazioni molti pazienti che ne avrebbero diritto restano comunque senza.
E se al momento l'uso terapeutico della marijuana è consentito solo negli Stati Uniti (in 31 stati), in Australia, Canada, Cile, Colombia, Germania, Grecia, Israele, Paesi Bassi, Perù, Polonia, Regno Unito e Italia, è probabile che molti altri paesi si uniranno presto al gruppo. Non è detto, invece, che si amplino le autorizzazioni per l'uso ricreativo, oggi attive solo in Uruguay, in Canada e in meno di un terzo degli Stati Uniti. Lussemburgo e Messico parrebbero essere i primi due paesi che potrebbero concedere la legalizzazione dopo il nuovo pronunciamento Onu.
Riducendo la scala d'osservazione dal panorama mondiale a quello europeo, è indubbio che il voto a favore del riconoscimento delle proprietà terapeutiche della cannabis sia segno di un avvenuto passaggio culturale. In questo senso, oltre al valore simbolico presso l'Onu se ne aggiunge un altro per l'Unione europea, in cui l'unità di intenti potrebbe essere il preludio a ulteriori decisioni politiche.