Frutti dimenticati, un patrimonio da salvaguardare: le banche della frutta sono custodi della biodiversità
Ci sono moltissimi frutti, un tempo di largo impiego, che oggi rischiano di finire "dimenticati". Quali sono e perché hanno perso interesse, ma soprattutto cosa stiamo facendo per impedire a questi sapori particolari di scomparire per sempre dalle nostre tavole?
Frutti dimenticati, un patrimonio da salvaguardare
I "frutti dimenticati" rappresentano un patrimonio di biodiversità agricola e cultura gastronomica di grande valore, che merita di essere riscoperto e valorizzato. Frutti un tempo di largo impiego sono stati abbandonati per fare spazio a colture più adatte alla produzione su larga scala e alle mutevoli esigenze del mercato moderno. Eppure riuscire a farli sopravvivere non è solo una questione di gusto, ma anche un'esigenza importante per la sostenibilità e la conservazione della biodiversità.
Quali sono i "frutti dimenticati"?
Sarebbe impossibile fare un elenco completo dei frutti che un tempo facevano parte della dieta quotidiana e che sono stati progressivamente "dimenticati" fino a rischiare di scomparire, a favore di varietà più commerciali.
Tra quelli più noti troviamo le nespole, le giuggiole (nella foto), le mele cotogne, le corbezzole e le azzeruole, ma anche le ciliegie bianche e le pesche tabacchiere. Se queste ultime in periodi recenti sembrano essere state riscoperte, grazie a una selezione genetica che le ha rese particolarmente resistenti al freddo, molti altri rischiano di finire nel dimenticatoio, a causa del loro sapore e particolare o del loro colore poco "appetibile" per il mercato.
Perché questi frutti sono stati "abbandonati"?
I motivi che hanno portato ad abbandonare la coltura di alcune tipologie di frutti sono da ricercare nell’evoluzione agricola moderna, che ha portato a un impoverimento della biodiversità.
Alcuni frutti sono stati abbandonati non per mancanza di qualità, ma perché non rispondevano ai criteri di produttività e commerciabilità richiesti dall’agricoltura industriale, che ha preferito le moderne varietà di frutta, selezionate per la loro capacità di resistere alle ammaccature e di mantenersi fresche per settimane.
Anche l’aspetto estetico gioca un ruolo fondamentale, e frutti grandi, lucidi e dal colore uniforme sono preferiti dai consumatori, magari a scapito del sapore e delle proprietà nutritive. I gusti sono un altro fattore "responsabile" dell'abbandono: frutti più zuccherini e con aromi semplici sono preferiti ad altri dal sapore più complesso e meno dolce.
Stando ai dati diffusi dalla FAO, nel corso del XX secolo il 75% della biodiversità agricola è stato abbandonato. Il dato si mostra decisamente preoccupante, visto molte di queste varietà potrebbero rivelarsi cruciali per affrontare e vincere le sfide future, come il cambiamento climatico e le nuove malattie delle piante.
Secondo alcuni studi entro il 2055 potremmo arrivare a perdere circa il 20% di colture molto diffuse, come patate, fagioli e arachidi. Anche il nostro Paese - tradizionalmente ricco di biodiversità agricola - mostra chiari segni di declino delle varietà coltivate. Per esempio - nonostante si possano contare oltre mille varietà di mele - l’80% di quelle oggi consumate appartiene solo a tre tipi.
Banche della frutta custodi della biodiversità
Quanto è alto il rischio di perdere per sempre gli antichi sapori dei frutti "dimenticati"? Per fortuna vi sono - sia in Italia che all'estero - istituzioni dedicate alla conservazione della biodiversità agricola.
Tra queste troviamo il Centro Nazionale del Germoplasma Frutticolo, che svolge un ruolo fondamentale, conservando e studiando il patrimonio genetico delle coltivazioni autoctone. Anche lo Svalbard Global Seed Vault, situato nelle isole Svalbard in Norvegia rappresenta una riserva strategica per la sicurezza alimentare mondiale, custodendo antichi semi e preservando i "frutti dimenticati" da eventuali catastrofi naturali o eventi avversi. A livello globale la Fao stima che esistano circa 1750 banche del germoplasma, veri e propri "caveau dei semi" che custodiscono oltre 7,4 milioni di varietà vegetali.