C'è correlazione tra inquinamento e morti per Covid-19?
Il modo in cui la qualità dell'aria possa influire sulla diffusione del virus Sars-Cov-2, e quindi aggravare il bilancio della pandemia, è un tema discusso fin dalla scorsa primavera. Da quando, in particolare in Italia, è parso evidente che le aree più colpite dalla prima ondata epidemica coincidessero con quelle notoriamente più inquinate. Anticipiamo subito che una risposta definitiva sul tema da parte della comunità scientifica ancora non c'è, ma le evidenze raccolte, le pubblicazioni e gli studi condotti a livello nazionale e internazionale permettono oggi di iniziare a fare un po' di chiarezza.
In estrema sintesi, che le polveri sottili nell'aria possano agire direttamente come diffusori del virus e propagatori della malattia è un'ipotesi ritenuta assai improbabile. Viceversa, il ruolo dell'aria sporca nel rendere più fragile la popolazione, e quindi far sviluppare forme più gravi della Covid-19, è considerato molto plausibile.
Correlazione non significa causalità
Un elemento confondente in discussioni come queste è il frequente equivoco secondo cui basterebbe verificare la coincidenza di due eventi per dedurre che siano legati da un rapporto causa-effetto. In realtà una correlazione può essere frutto del caso (per esempio, le statistiche ci dicono che dove si mangia più formaggio i corsi di golf sono più redditizi), oppure dovuta a un fattore terzo rispetto ai due che si stanno considerando. Nel caso della Covid-19, in particolare, non va scordato che le aree più inquinate sono anche quelle in cui la densità abitativa è più alta, l'industrializzazione è maggiore e dove le persone tendono ad avere più mobilità, magari anche internazionale.
Questo mostra come la situazione sia particolarmente complessa da analizzare, e che le conclusioni tratte dopo aver banalmente confrontato le mappe di distribuzione dei casi positivi e dei livelli di inquinamento sono spesso semplicistiche e superficiali.
Il Sars-Cov-2 viaggia a cavallo del particolato?
La risposta breve è no. Anche se ci sono studi che hanno trovato tracce dell'rna del nuovo coronavirus attaccate al particolato atmosferico, questo non significa che gli inquinanti nell'aria possano essere veicolo di trasmissione dell'infezione virale. Anche ammesso che il virus si trovi effettivamente integro a bordo di queste particelle che viaggiano nell'aria (cosa di cui non c'è evidenza), è molto improbabile che sia preservata la sua struttura e la sua morfologia, dunque le proprietà infettive verrebbero meno.
Oltre ai fattori di stress meccanico, a determinare il danneggiamento del virus sono infatti gli sbalzi di temperatura, l'esposizione ai raggi ultravioletti e il tipico processo di essiccazione dovuto al rimanere all'aria aperta: se l'involucro del virus non è perfettamente integro, il patogeno perde del tutto la capacità di infettare. E va aggiunto che - oltre al fatto che il virus ha perso la sua integrità - la carica virale trasmissibile attraverso il particolato è comunque estremamente bassa.
Se già la trasmissione della Covid-19 è ritenuta molto improbabile attraverso il contatto con superfici infette, quella attraverso l'aria e i suoi inquinanti è una possibilità così remota da non meritare (sempre secondo gli esperti) di essere tenuta in considerazione. Sappiamo infatti che la quasi totalità dei contagi avviene attraverso le droplet, le goccioline infette di saliva o di muco che vengono proiettate a breve distanza parlando, respirando, tossendo e starnutendo. Al limite, la trasmissione può avvenire attraverso l'aria in un ambiente chiuso e piccolo, in cui attraverso le droplet si immettono nella stanza grandi quantità di virus, generando un temporaneo aerosol infettivo. Ma in questo caso l'inquinamento non c'entra.
I veri effetti dell'inquinamento
Come anticipato, in realtà un possibile legame tra i livelli di inquinamento e l'impatto della Covid-19 esiste. Diversi studi, molti dei quali precedenti alla pandemia, hanno infatti dimostrato che smog e polveri sottili generano una condizione poco salubre per la salute umana, soprattutto a danno del sistema immunitario e dell'apparato respiratorio.
L'inspirare quotidianamente sostanze inquinanti diffuse nell'aria è stato associato a una maggiore probabilità di sviluppare infezioni respiratorie, peraltro anche nel caso di malattie molto simili alla Covid-19, come per esempio la Sars (il cui coronavirus è un cugino del nuovo Sars-Cov-2). Nelle aree più inquinate, dunque, vivono persone mediamente più suscettibili alle patologie delle vie aeree, soprattutto perché è più frequente che si sviluppino risposte infiammatorie acute a livello polmonare.
Detto in altri termini, l'elevato livello di inquinanti può influire sulla percentuale di pazienti che sviluppano la malattia in forma più grave, e potenzialmente può far diminuire la frazione di casi asintomatici a favore quelli in cui la Covid-19 si palesa in forma evidente. Da questo punto di vista, potrebbe quindi esistere un rapporto di causa-effetto tra l'inquinamento e il numero di casi positivi rilevati (ma non dei casi positivi effettivi) in un certo territorio, e allo stesso modo ci potrebbe essere un legame pure con l'aumentata letalità del virus.
Queste, almeno, sono le conclusioni a cui è giunta nel mese di settembre un'ampia ricerca sul territorio statunitense pubblicata su Environmental Research Letters, confermata anche da ulteriori paper usciti nello stesso periodo per l'Italia, e altri che includono il caso cinese. Con metodi statistici ad hoc, i ricercatori hanno anche stabilito che questi effetti rimangono pure al netto delle questioni socio-demografiche, ossia che non è solo la concentrazione di persone e la mobilità dei lavoratori a determinare la criticità della situazione.
In questo senso, dunque, la comunità scientifica si sta orientando nel considerare un elevato livello di inquinamento come un fattore di rischio che può agevolare la diffusione di ondate epidemiche più intense e di maggior impatto a livello di salute pubblica. Suggerendo dunque che le azioni di riduzione dell'inquinamento siano da attuare quanto prima, non solo per ridurre l'effetto della Covid-19 ma anche per garantire un miglior livello di benessere alla popolazione, di fronte alle infezioni del passato, del presente e del futuro.