Cambiamento climatico, ecco cosa potrebbe sparire dalle nostre tavole
Il cambiamento climatico potrebbe avere un impatto non solo sul pianeta, ma sul lungo termine anche sulla nostra alimentazione. Ecco allora quali potrebbero essere i cibi a rischio secondo Paola Palestini, docente di biochimica all’Università Bicocca di Milano ed esperta di scienze dell’alimentazione. Secondo l’esperta, riscaldamento globale, disponibilità d’acqua, perdita di biodiversità e aumento dei consumi sono tutti elementi in grado di mettere a rischio alcuni cibi. “Per fare un esempio – ha detto la professoressa Palestini – il caffè, che è uno dei prodotti più consumati al mondo, è a rischio. Soprattutto l’arabica, di cui siamo grandi consumatori”. Il caffè è un’industria globale da circa 19 miliardi di dollari e la sua produzione sarebbe più che triplicata dal 1960. Secondo un rapporto del 2016 del Climate Institute di Sydney, l’aumento delle temperature, in concomitanza con gli eventi meteo estremi, potrebbe dimezzare le aree adatte alla produzione di caffè.
Le monocolture rappresentano un altro fattore di rischio, poiché sono la diversificazione e la biodiversità a favorire la sopravvivenza di una specie. “Un esempio – spiega ancora la Palestini – sono le monocolture di banane, minacciate da un’infezione fungina che ne può causare una moria”. È fondamentale, poi, la disponibilità d’acqua, soprattutto per alcuni alimenti. Il grano duro ne richiede una grande quantità e, per questa ragione, la siccità ne mette a rischio le colture. “Parlando dell’Italia – ricorda la professoressa – Marche ed Abruzzo, ad esempio, non usano più solo il loro grano perché non ne hanno abbastanza”. Anche la gestione degli allevamenti e la produzione di carne richiedono quantitativi di acqua molto elevati. Ecco perché è probabile che i consumi in questo settore potrebbero subire un ridimensionamento in futuro, in un contesto di maggiore sostenibilità ambientale. Il discorso è diverso invece per i legumi che hanno bisogno di meno acqua e possono essere coltivati in aree più calde. “I ceci – spiega l’esperta – sono coltivati anche nel nord dell’Africa, dall’Egitto all’Algeria”. L’aumento dei consumi – altro fattore chiave secondo la professoressa – grava sul settore ittico già fortemente provato dall’eccesso di pesca, il riscaldamento delle acque che mette a rischio diverse specie e l’acidificazione degli oceani. “Tonno, salmone, che vuole acque fredde e, in generale, tutte le specie con poche spine sono molto consumate”, ma in futuro potrebbero non riuscire più a soddisfare l’alta domanda del mercato. È difficile, secondo la Palestini, fare una previsione esatta su una eventuale dieta del futuro. Ciò che si può dire, però, è che, se il cambiamento climatico dovesse continuare in questa direzione, il menu a tavola potrebbe essere in futuro molto diverso da quello attuale.