Summit sul clima, cosa si è deciso?
Proprio in occasione della Giornata internazionale della Terra, il 22 aprile scorso, è iniziato il Leaders summit of climate, con lo scopo di sensibilizzare e riorganizzare lo sforzo delle principali potenze mondiali per la tutela del clima e per ridurre drasticamente l'inquinamento dell'atmosfera. Obiettivo: stabilire accordi chiari e definiti affinché i governi di tutto il mondo si impegnino per lo sviluppo sostenibile e per la riduzione delle emissioni di CO2 e altre sostanze climalteranti.
Il meeting era ufficialmente ospitato dagli Stati Uniti, che hanno invitato i diversi paesi a partecipare all'evento, ma si è svolto a distanza, in videoconferenza. Hanno preso parte al Summit oltre 40 capi di governo - incluso il Presidente del consiglio italiano Mario Draghi - andando pure oltre le aspettative iniziali.
Un lustro a inerzia negativa
Sono passati poco più di 5 anni dall'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, e finora è stato fatto ben poco di ciò che era stato promesso. Il bilancio è piuttosto negativo, visto che il processo di decarbonizzazione procede molto lentamente: negli ultimi 8 anni è addirittura aumentata annualmente dell’1,1% la CO2 prodotta da combustione fossile.
Inoltre, il denaro investito in aziende non-green è ancora troppo alto rispetto a quello utilizzato per sostenere attività che puntano sull'innovazione sostenibile. Sono tutt'ora finanziati molti progetti a energia fossile che, se venissero realizzati, segnerebbero il definitivo tracollo dell'obiettivo di mantenere l’aumento del riscaldamento climatico sotto i 2°C entro il 2100, come stabilito proprio dall'accordo parigino del 2015.
Insomma, il processo di transizione ecologica sta avvenendo a rilento e i risultati ottenuti sono molto inferiori rispetto alle aspettative. Basta pensare che il 2020 è stato l'anno più caldo in assoluto dal 1850 per rendere evidente come ciò che stiamo facendo non sia sufficiente, e che il punto di non ritorno si avvicini sempre più. E la pandemia non ha fatto altro che complicare ulteriormente il percorso.
Ecologia e digitalizzazione
Come anticipato, l'obiettivo del Summit era attuare misure condivise per ridurre il riscaldamento globale e favorire la transizione ecologica. Punto centrale del meeting è stato la concretezza, ossia la definizione di piani chiari e precisi per evitare che le belle parole finiscano in un nulla di fatto. Ognuno dei 40 paesi partecipanti al Summit sul clima è stato chiamato a impegnarsi nella realizzazione di un piano affinché la rivoluzione auspicata si concretizzi davvero.
Con queste premesse, è emerso il ruolo fondamentale degli investimenti e delle risorse per lo sviluppo verde. A tal proposito, nel contesto europeo ha un ruolo fondamentale il Next Generation Eu, che deve necessariamente essere il trampolino di lancio per la sostenibilità. Strettamente collegata con la transizione ecologica è pure l'innovazione digitale e tecnologica, ritenuta essenziale per il cambiamento e l'introduzione di strategie green.
Gli Stati Uniti come capofila?
Con l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca c’è stato un deciso cambio di rotta rispetto all’atteggiamento passivo - e a tratti negazionista verso l'evidenza scientifica del cambiamento climatico - di Donald Trump. Un primo forte segnale c’è stato con il rientro immediato negli accordi di Parigi e con una serie di misure per favorire il processo di trasformazione, cercando anche di sensibilizzare la popolazione sul tema, visto che gli aspetti ambientali sono stati troppo poco presi in considerazione dai cittadini statunitensi negli ultimi anni.
Il traguardo prefissato dall’attuale presidente degli Stati Uniti è molto ambizioso: dimezzare entro il 2030 le emissioni di CO2 rispetto ai valori del 2005, e arrivare ad azzerarle entro il 2050 per il raggiungimento della neutralità climatica, ossia annullare le emissioni complessive nette di anidride carbonica. Punto centrale nei discorsi di Joe Biden è stato anche il tema del lavoro: nella visione del neopresidente, la lotta al cambiamento climatico non è solo un obbligo per tutti i paesi del mondo, ma anche un’opportunità per creare occupazione.
In senso più geopolitico, il Summit sul clima si è dimostrato un’occasione per ribadire la posizione centrale e di leadership degli Stati Uniti nella lotta per la tutela del clima. Insomma, un cambio di passo che dà nuova speranza affinché si raggiungano gli obiettivi prestabiliti, visto anche che al momento gli Stati Uniti sono responsabili da soli del 15% delle emissioni a livello globale.
Il ruolo fondamentale di Cina e Russia
Tra i leader mondiali che hanno partecipato al Summit, hanno fatto notizia soprattutto i nomi del presidente della Cina e della Russia, visti i recenti attriti internazionali e i molti dubbi sulla loro presenza alla vigilia dell'evento. In particolare, come sappiamo, l’impegno della Cina è decisivo per rendere possibile il processo globale di transizione ecologica, visto che da produce il 28% delle emissioni dell'intero pianeta. Gli intenti del presidente Xi Jinping sono chiari: neutralità climatica nel 2060 e picco delle emissioni di CO2 nel 2030. Ossia, nel corso degli anni Venti si continuerà comunque a emettere sempre di più, per poi invertire finalmente la rotta.
La collaborazione tra Cina e Stati Uniti è essenziale anche in vista del prossimo appuntamento mondiale per la gestione della transizione ecologica: la Climate Change Conference Cop26 in programma a Glasgow, nel Regno Unito, dal primo al 12 novembre prossimi. Allo stesso modo Vladimir Putin, sul fronte russo, ha mostrato grande entusiasmo per la collaborazione internazionale nel ridurre le emissioni inquinanti, e nel suo intervento ha confermato che il suo paese farà la propria parte.