Clima, Biden cambia rotta: cosa comporta?
Ha fatto notizia più di tutti, tra i 17 ordini esecutivi firmati il 20 gennaio dal neopresidente statunitense Joseph R. Biden Jr a poche ore dal suo giuramento, quello che prevede il rientro del paese all'interno dell'accordo di Parigi sul clima. Un atto significativo, per ora solo preliminare ma con importanti conseguenze già nelle prossime settimane, che segna un'inversione a U nella politica ambientale degli Stati Uniti.
Dopo la firma dell'accordo internazionale tra 195 paesi avvenuto nella capitale francese alla fine del 2015 (durante la presidenza di Barack Obama), gli Stati Uniti avevano iniziato l'iter di uscita dall'accordo nel giugno 2017 per volontà del presidente Donald Trump, con un lungo percorso che stato portato a termine solo poche settimane fa, il 4 novembre 2020. E ora, dopo un paio di mesi appena, gli Stati Uniti stessi sono pronti a percorrere il più breve iter inverso, ossia quello della nuova adesione all'accordo stesso.
Il valore dell'accordo di Parigi
Al momento della stesura documento originale, in occasione della conferenza sul clima Cop21, i punti di forza erano almeno un paio. Anzitutto la definizione di obiettivi concreti e misurabili, ossia l'impegno formale e condiviso a contenere l'aumento delle temperature mondiali al di sotto dei 2°C, meglio ancora se entro gli 1,5°C, e un percorso progressivo di riduzione delle emissioni. E poi l'adesione simultanea delle tre potenze mondiali che sono i principali produttori ed emettitori di gas climalteranti: la Cina, l'Unione Europea e ovviamente gli Stati Uniti. Si potrebbe dire, senza timore di esagerare, che proprio gli Stati Uniti sono stati - insieme alla Francia - i capofila dell'iniziativa, e anche per questo l'uscita voluta da Trump aveva fatto vacillare il senso stesso dell'accordo, rischiando di farlo diventare lettera morta.
In questo senso, dunque, il nuovo ripensamento statunitense non significa solo che i paesi aderenti risalgono da 194 a 195, ma che una delle tre gambe fondamentali dell'accordo si appresta a tornare in gioco. Non a caso la notizia è stata ripresa con entusiasmo in gran parte del mondo, con il plauso arrivato a Biden da parte di diversi capi di stato e lunghi approfondimenti da parte della stampa statunitense. Anche il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha colto il provvedimento con grande favore, parlando di "un'azione ambiziosa". Dato che la Cina aveva accettato di rispettare i vincoli del patto persino con gli Stati Uniti assenti, in questo momento si può dire che tutto il mondo pare tornato coeso nella lunga lotta contro il cambiamento del clima e la tutela del pianeta.
Cosa succede ora: i prossimi passi
Il documento preliminare firmato da Biden appena è stato possibile e in tutta fretta è naturalmente solo il primo step di un percorso. L'ordine esecutivo determina infatti l'attivazione delle agenzie federali statunitensi, che sono chiamate a fare arrivare alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (in sigla, Unfccc) una lettera formale con cui si chiede di poter (ri)aderire all'accordo di Parigi. Un passaggio non immediato, ma che richiede fino a 30 giorni di tempo - e l'ok da parte delle Nazioni Unite, che pare comunque scontato - prima che gli Stati Uniti possano dirsi di nuovo rientrati ufficialmente nell'accordo. Fortunatamente, l'iter di rientro è molto più rapido di quello di uscita, che invece richiede anni.
Una volta ammessi, gli Stati Uniti dovranno poi iniziare i negoziati per l'applicazione concreta dell'accordo, con tanto di obiettivi quantitativi e scansione temporale. Il vecchio piano siglato da Obama, infatti, è ormai impossibile da rispettare visto che sono stati sprecati diversi anni in cui - peraltro - anziché fare passi in avanti se ne sono fatti all'indietro dal punto di vista delle emissioni.
Come avevamo anticipato con un'intervista qui su Meteo.it, il prossimo momento davvero decisivo sarà verso fine anno, in occasione della 26esima conferenza mondiale sul clima (Cop26), in programma già nel 2020 ma rinviata dal 1° al 12 novembre 2021 a Glasgow, in Scozia, a causa della pandemia. Sarà quella l'occasione in cui, gli Stati Uniti potranno riprendere la proprio ruolo di leader all'interno della compagine internazionale, tornando tra i paesi principali promotori della lotta al cambiamento climatico.
Il dato politico e i piani a lungo termine
Se l'azione di Trump, con il venir meno a obblighi contrattuali già assunti, era indice di una visione dei rapporti internazionali in cui gli Stati Uniti puntano anzitutto ai propri interessi anche discapito degli altri, con il ritorno nell'accordo di Parigi si potrebbe parlare di un ritorno al multilateralismo. Un superamento, insomma, del principio dell'America first. In casi come questo il significato politico delle iniziative precede quello formale, e dunque il valore simbolico può già considerarsi assodato.
Secondo quanto Biden aveva annunciato in campagna elettorale, e che ora dovrà tentare di mettere in pratica, gli Stati Uniti vorrebbero arrivare alla Cop26 con una serie di azioni concrete contro il cambiamento climatico già intraprese, anche al di là di ciò che viene stabilito e concordato formalmente nei documenti. Era stato promesso, per esempio, un maxi finanziamento da 2mila miliardi di dollari, il raggiungimento della neutralità nelle emissioni di anidride carbonica entro il 2050, l'avvio di un percorso verso la totale decarbonizzazione e la produzione di energia esclusivamente da fonti rinnovabili. Oltre, naturalmente, al ripristino di una serie di norme e provvedimenti già voluti da Obama e poi modificati da Trump. Resta comunque da vedere se tutte queste ambizioni diventeranno davvero realtà, e con quali tempi.
Per il momento le promesse rispettate sono due. La prima, è appunto che nel primo giorno da presidente Biden ha avviato il processo per l'accordo di Parigi. E la seconda è la cancellazione del progetto del cosiddetto oleodotto Keystone XL, una mastodontica opera lunga 1.900 chilometri che avrebbe consentito di trasportare il petrolio estratto dalle sabbie bituminose canadesi. Lo sviluppo del progetto era stato bloccato da Obama e poi riattivato da Trump, mentre Biden lo ha di nuovo interrotto con un ordine esecutivo ad hoc.