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Inquinamento, la Val Padana è prima in Europa per numeri di morti

Dai dati scientifici emerge chiaramente: l'Italia è lo stato europeo con più città mortalmente inquinate dalle polveri sottili, tutte in Pianura Padana. Maglia nera per Brescia, poi Bergamo e Vicenza. Milano è 13esima
Ambiente1 Febbraio 2021 - ore 07:55 - Redatto da Redazione Meteo.it
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(foto: Claudio Furlan/LaPresse)

La più recente fotografia scattata dalla comunità scientifica sulla mortalità per inquinamento nel Vecchio Continente è impietosa: la top 30 delle città dove le polveri sottili (e la scarsa qualità dell'aria in generale) provocano più decessi pullula di città italiane. E non siamo semplicemente i peggiori d'Europa, ma battiamo tutti gli altri con un distacco abissale. La maggioranza assoluta delle città più inquinate si trova nel nostro paese, con ben 19 bandierine sulle prime 30 posizioni, e 4 piazzamenti nella top 10. Tutti questi centri, in particolare, sono concentrati in Pianura Padana, tanto che più una questione nazionale si può parlare di un problema che riguarda soprattutto l'area del bacino idrografico del fiume Po.

L'occasione per riparlarne ci arriva da un'autorevole analisi scientifica pubblicata dalla prestigiosa rivista specialistica The Lancet nella sezione Planetary Health lo scorso 19 gennaio, che ha messo insieme una lunga serie di dati e di valutazioni su un totale di oltre mille città europee di varie dimensioni. Lo studio ha riguardato in particolare gli effetti delle polveri sottili (il pm 2,5 di dimensioni inferiori a 2 micron e mezzo) e del diossido di azoto (NO2), arrivando a valutare per ogni città il numero di morti che sarebbero prevenibili se non ci fosse inquinamento. La pubblicazione ha ricevuto qualche critica (soprattutto da chi si trova nelle peggiori posizioni in classifica) perché basato su dati quantitativi del 2015: per analisi così ampie e complesse è difficile poter avere risultati a stretto giro e poi - anche se qualcosa è certamente stato fatto, come vedremo - è difficile pensare che la situazione sia radicalmente cambiata negli ultimi 5 anni.

La classifica

Come anticipato, le tabelle riassuntive stilate dal gruppo internazionale di scienziati non sono molto lusinghiere per l'Italia del nord. Al primo posto per mortalità da inquinamento e anni di vita perduti c'è Brescia, e subito dietro con dati quasi alla pari si trova Bergamo. Al terzo posto Karviná, città della Repubblica Ceca con 50mila abitanti, mentre è nostro pure il quarto posto con Vicenza. A completare il gruppetto delle prime 10 ci sono poi diverse città della Polonia (l'Unione metropolitana dell’Alta Slesia, Jastrzebie-Zdrój e Rybnik), due centri della Repubblica Ceca (Ostrava e Havirov) e un'ulteriore rappresentanza italiana con Saronno.

Nelle posizioni successive alla decima l'Italia è ancora più protagonista. Verona 11esima, Milano 13esima, Treviso 14esima, Padova 15esima, Como 17esima, Cremona 18esima, Busto Arsizio 19esima, Pavia 21esima, Novara 22esima, Venezia 23esima, Pordenone 24esima, Piacenza 25esima, Ferrara 26esima, Torino 27esima e Gallarate 29esima. Tra la posizione 30 e 40, poi, abbiamo altri 5 piazzamenti con Varese, Carpi, Asti, Alessandria e Parma. Insomma, nelle parti alte della graduatoria complessiva si fa prima a elencare le città di tutto il resto d'Europa che quelle della sola Pianura Padana.

(foto: Markus Spiske/Unsplash)

Per ciascuno dei centri abitati è anche stato stimato il numero di decessi che ogni anno sono correlabili con una relazione di causa-effetto all'inquinamento, e che quindi sarebbero in linea di principio "evitabili" con un drastico miglioramento della qualità dell'aria. Così a Brescia ogni anno l'inquinamento uccide tra le 232 e le 309 persone, a Bergamo tra 137 e 186, a Vicenza tra 124 e 167, e nella sola Milano si sta tra le 3.900 e le 5.300 persone. Naturalmente la classifica sopra tiene conto della dimensione della città, mentre qui si tratta di numeri assoluti. Calcolatrice alla mano, ed estendendo i risultati all'intero territorio nazionale, Greenpeace ha stimato che ogni anno in Italia le morti premature da inquinamento siano intorno a quota 15mila: un'emergenza forse non paragonabile a quella del Covid-19, ma certamente drammatica e dai numeri enormi.

Un modo alternativo di esprimere questi dati, che fotografa in modo ancora più preciso l'effetto dell'inquinamento, è di quantificare l'impatto delle polveri sottili in termini di anni di vita andati perduti. Su 100mila abitanti, è stato calcolato, ogni anno a Brescia si perdono tra 1.700 e 2.300 anni di vita, a Bergamo tra 1.700 e 2.400, a Vicenza tra 1.600 e 2.100, e così via. A incidere sulla mortalità per inquinamento delle grandi città è anche il diossido di azoto, che è dovuto in buona parte al traffico delle automobili. Torino e Milano, nel ranking europeo, si piazzano al terzo e al quinto posto anche da questo punto di vista, complicando ulteriormente la situazione.

Il nesso causale tra inquinamento e decessi

Che esista un rapporto di causa-effetto tra bassa qualità dell'aria e una serie di patologie è più che assodato, almeno per la comunità scientifica. A livello di sensibilità pubblica e individuale, però, si tratta di una correlazione difficile da cogliere, perché nessuno quando sta male o vede altri soffrire attribuisce la colpa della condizione clinica all'inquinamento.

Questa percezione errata, che è a tutti gli effetti una distorsione cognitiva, un autoinganno, è dovuta al fatto che da un lato l'inquinamento è quasi invisibile (anche se a volte lo smog si coglie persino con la vista e l'olfatto), e dall'altro che siamo portati a identificare cause uniche, immediate e semplici per ciò che ci accade. Certo, chi vive accanto a stabilimenti industriali inquinanti o in quartieri dove la battaglia ambientalista è più intensa ci pensa più spesso, ma raramente viene in mente di associare un tumore, un ictus o il diabete alla presenza di smog.

(foto: Claudio Furlan/LaPresse)

Revisioni scientifiche internazionali degli ultimi anni attribuiscono all'inquinamento il 19% delle morti per tumore al polmone, l'11% degli ictus, il 16% degli infarti, il 20% dei casi gravi di diabete e il 41% dei decessi per broncopneumopatia cronica ostruttiva (la cosiddetta Bpco). E questo vale sia sul breve termine, quando le concentrazioni di inquinanti sono particolarmente alte e possono scatenare effetti acuti, sia sul lungo periodo, in modo silenzioso, impercettibile e dunque più subdolo.

Per di più, l'inquinamento può scatenare o aggravare allergie, bronchiti, attacchi d'asma, infezioni o infiammazioni alle vie aeree. Ed è stata stabilita una correlazione causale anche con malattie psichiatriche e neurologiche, alterazioni del metabolismo, nascite premature, disfunzioni della crescita e diverse altre condizioni cliniche più o meno gravi. Infine, per arrivare a questioni di più stringente attualità, è stato dimostrato (sulla base di ampi dati statistici statunitensi) che un inquinamento più elevato determina una più alta letalità del Covid-19. Non perché il coronavirus Sars-Cov-2 possa essere trasportato dalle particelle delle polveri sottili, ma per via del fatto che nelle aree più inquinate le persone tendono ad avere un apparato respiratorio già sotto stress, che quindi reagisce con più difficoltà alle infezioni come abbiamo raccontato in un approfondimento dedicato.

Che cosa si sta facendo

Le iniziative in campo sono molte, ma non c'è dubbio che la strada da percorrere sia ancora lunga. E pure che il punto di partenza sia dei meno incoraggianti. Solo negli ultimi mesi sono stati attivati - e abbiamo raccontato anche qui su Meteo.it - bonus per la mobilità, piste ciclabili aggiuntive soft, incentivi specifici per monopattini e altri mezzi di mobilità dolce, ecobonus di varia natura e sgravi fiscali su una serie di interventi. Solo nella zona della Pianura Padana, per fare fronte all'emergenza ambientale, sono stati stanziati fondi pari a 900 milioni di euro tra il 2020 e il 2034, più ulteriori 40 milioni nel 2035 che si sommano ai 180 già stanziati nel 2019. Finanziamenti che puntano soprattutto ai trasporti, ma anche all'efficientamento energetico degli edifici.

(foto: Claudio Furlan/LaPresse)

Purtroppo la pandemia, che in un primo momento sembrava potesse essere l'occasione per uno sperato riscatto della natura, non ha sortito grandi effetti benefici, anzi. Ha in parte compromesso il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030, perlomeno complicando la progressione temporale prefissata. Ha determinato una temporanea riduzione del traffico, abbassando di qualche percento la concentrazione di specifici inquinanti come il diossido di azoto, senza però influire su molti altri che dipendono solo in minima misura dal traffico e derivano soprattutto da altre attività umane, a partire dai riscaldamenti domestici. E soprattutto ha fatto passare in secondo piano la questione ambientale, per via dell'emergenza sanitaria ed economica che ha monopolizzato l'attenzione e il dibattito pubblico. Ma il tema della qualità dell'aria è troppo importante perché si possa smettere di parlarne.

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