Il cambiamento climatico indurrà a fare meno figli?
Riscaldamento globale, desertificazione, perdita di biodiversità, innalzamento del livello dei mari e molto altro: sul fatto che tutte queste conseguenze del cambiamento climatico impattino (e impatteranno) su ogni aspetto della nostra vita non c'è alcun dubbio. E ancora prima di misurarne gli effetti concretamente nella quotidianità, influiscono anzitutto sulla nostra percezione e sulla costruzione dell'idea di futuro, al punto da modificare i comportamenti in modo più o meno consapevole.
Tra le possibili conseguenze, la comunità scientifica si interroga da tempo se il cambiamento climatico possa influire non tanto sulla fertilità in senso biologico, ma sulla volontà delle persone di mettere al mondo uno o più figli. Le risposte, perlomeno sulla base di quello che viene dichiarato in risposta ai sondaggi, sembrano propendere dalla parte del sì: a causa del clima che cambia, saremo indotti a riprodurci di meno.
Ovviamente quando si parla di proiezioni future, e soprattutto di dichiarazioni di intenti o meccanismi sociali ipotetici, tutti i risultati andrebbero presi con il beneficio del dubbio. Interessante però che ricerche indipendenti, come quella pubblicata sulla rivista scientifica Environmental research letters a maggio 2019 e quella uscita su Climatic change a novembre 2020, giungano a conclusioni piuttosto simili pur utilizzando metodi molto diversi.
Giovani angosciati dal futuro
L'elemento che secondo gli scienziati emerge come più decisivo è una generale sfiducia e preoccupazione di ventenni, trentenni e quarantenni per l'evoluzione climatica, al punto da essere seriamente intenzionati a non riprodursi, o comunque a limitare di molto il numero di figli.
Nel campione di 600 cittadini statunitensi interpellati dallo Yale-Nus college, per esempio, il 96% delle persone ha dichiarato di essere molto o estremamente preoccupato per la vita dei propri bambini (già nati oppure ipotetici) in un mondo alterato e sconvolto dal cambiamento climatico. E il 60% ha detto anche di avere un'uguale preoccupazione per l'impatto ambientale che la propria prole genererà sull'ambiente, al punto da dubitare - proprio per una questione di carbon footprint - di voler mettere al mondo figli. Insomma, non riprodursi per non inquinare, o preferire un'adozione al mettere al mondo una persona in più.
In termini puramente statistici, nella fascia d'età 27-45 anni presa in considerazione non è stata riscontrata alcuna differenza significativa nelle idee di uomini e donne, mentre è emerso che la preoccupazione tende a variare a seconda della generazione, e a diminuire più si avanza con l'età. Secondo gli scienziati che hanno analizzato le risposte e le argomentazioni fornite, il livello di angoscia mostrato dai più giovani è perfino eccessivo rispetto alle effettive proiezioni scientifiche dell'effetto del cambiamento climatico.
Una paura così profonda e radicata - hanno scritto - che dovrà essere studiata nei prossimi anni da discipline emergenti come la sociologia della riproduzione, la psicologia del clima e la sociologia dell'ambiente. Anche perché questa paura sembra essere sempre più diffusa mano a mano che passa il tempo, e non di rado emergono opinioni come il non voler dare alla luce figli "in un mondo morente" o il rimorso per aver già procreato e aver quindi condannato i propri figli "a vivere in un inferno rovente con guerre per le risorse, civiltà al collasso, fame e siccità".
Un quadro diversificato a fasce di latitudine
Un po' diversa nei dettagli è invece la possibile dinamica per i prossimi decenni indicata da un gruppo di economisti, esperti di demografia e sociologi statunitensi, canadesi e italiani (dell'università Bocconi), che hanno affrontato la stessa questione non da un punto di vista di percezione emotiva, ma di dinamica delle risorse. E il risultato è che, a conti fatti, molto potrebbe dipendere da dove si vive.
In un paese che si trova a basse latitudini, tra il tropico del Cancro e quello del Capricorno, l'effetto dell'aumento delle temperature e della desertificazione potrebbe essere una riduzione della produttività dei terreni, e di conseguenza un aumento del prezzo del cibo e uno spostamento della forza lavoro verso il settore primario. Il risultato complessivo sarebbe quindi una minore necessità di specializzazione e quindi di formazione scolastica e accademica, e di conseguenza costerebbe meno istruire i figli (anzi, sarebbero fin da giovani fonte di reddito) e ciò potrebbe determinare un aumento delle nascite.
Viceversa, alle latitudini medie e alte (Europa inclusa) il cambiamento climatico potrebbe provocare una diminuzione delle risorse disponibili. Quindi, con un impoverimento generale e un aumento delle disuguaglianze sociali, buona parte delle persone potrebbe essere scoraggiata dal fare molti figli, ma anzi preferirebbe limitarne il numero per garantire un livello di istruzione più alto. Naturalmente è molto arduo generalizzare, ma questi due esempi tipo (che secondo i ricercatori sarebbero le dinamiche più plausibili per paesi come la Colombia e la Svizzera rispettivamente) dimostrerebbero la possibilità non di una semplice riduzione assoluta della popolazione mondiale, ma di un effetto a due livelli in cui si popolano le aree prossime all'equatore e si spopolano le altre. O, su scala più locale, una dinamica che porta a popolare le aree rurali agricole e a ridurre la popolazione in quelle non agricole, forse al contrario di quanto verrebbe intuitivo credere.
Qualche piccola certezza su fertilità e clima
Se per prevedere che cosa davvero accadrà nei prossimi decenni servirebbe la sfera di cristallo, la comunità scientifica è comunque già giunta a qualche indicazione e conclusione condivisa. La prima, che è l'evidenza pratica di quanto sta accadendo, è che a oggi la paventata riduzione della fertilità e del tasso di riproduzione non è ancora visibile, almeno a livello di statistiche demografiche globali. E questo nonostante i giovani genitori di oggi avessero - qualche anno addietro - già dei timori legati al cambiamento climatico e al futuro dei propri figli.
Un secondo elemento riguarda invece la natura del legame tra clima e fertilità. L'effetto non sarà di natura strettamente biologica, ma (qualora dovesse concretizzarsi) sarà determinato da dinamiche di carattere economico in combinazione a questioni di percezione del rischio, più che da qualunque altro genere di fattore. Ciò non esclude che il cambiamento climatico in sé possa ridurre le risorse globali al punto da renderle insufficienti a nutrire l'intero genere umano, ma suggerisce che queste conseguenze estreme arriverebbero comunque in seguito ad altre dinamiche legate più a psicologia, paure e timori, flussi economici e livello di istruzione.