Frane ad alta quota: c'entra il riscaldamento globale
Tra i numerosi problemi collegati al riscaldamento globale e all'inquinamento atmosferico, dalla pericolosità dei voli aerei alla mortalità diretta, non va sottovaluta nemmeno l'instabilità dei pendii, con il conseguente aumento del rischio di frane ad alta quota. Un tema che ha meritato anche una recente pubblicazione scientifica sulla rivista specialistica Earth Surface Processes and Landforms, uscito a febbraio di quest'anno.
Il gruppo di ricerca che ha firmato lo studio è noto come River Basin Group, costituito da ricercatori della facoltà di Scienze e tecnologie dell'università di Bolzano insieme a geologi dell'università tedesca di Potsdam. Un lavoro che è partito dall'analisi delle modificazioni strutturali delle montagne, valutando l'impatto determinato dall'aumento delle temperature e dai fenomeni meteorologici.
Cosa sta accadendo?
Le frane rappresentano una reale minaccia per le persone e più in generale per gli animali, causando disagi, danni e - in alcuni casi - mietendo vittime. La pericolosità negli ultimi anni è progressivamente cresciuta, tanto che sempre più aree sono considerate a rischio. Gli stessi alpinisti si sono accorti, ripercorrendo i medesimi percorsi tra le rocce da un anno all'altro, che qualcosa sta via via cambiando. Anzitutto con la ben nota scomparsa dei ghiacci che prima coprivano le rocce, ma anche con le pareti rocciose che cambiano aspetto e diventano friabili. Insomma, capita sempre più spesso di vedere parti di montagna instabili e pericolanti.
Ma l'aspetto più grave di tutti è determinato, indirettamente, dallo scioglimento dei ghiacci: l'acqua che ne deriva tende a infiltrarsi nelle rocce e crea il fenomeno noto come frost-crack (chiamato così sia nelle rocce sia negli alberi), ossia delle rotture che si creano quando l'acqua - all'arrivo della stagione fredda - si ricongela e si espande. Ripetuto ciclicamente e su larga scala, questo fenomeno sta creando mutamenti irreversibili nella struttura delle montagne, a partire dalla perdita di compattezza.
Le osservazioni del nuovo studio scientifico
Anche se il fenomeno in sé non è certo una novità di questi mesi, la già citata ricerca italo-tedesca è un'ulteriore conferma della criticità della situazione. Già il titolo, in questo senso, è emblematico: Pronounced increase in slope instability to global warming (L'aumento pronunciato dell'instabilità dei pendii a causa del riscaldamento globale). A colpire ancora di più è il fatto che questo studio sia stato condotto specificamente nel nostro paese. Le modificazioni geologiche valutate, infatti, sono quelle dei pendii nel bacino del rio Solda, in Val Venosta.
Le cause a monte di queste problematiche, ancora troppo poco discusse, risiedono senz'altro nel cambiamento climatico, e più in particolare nell'aumento delle temperature medie. Il che, come noto, è a sua volta imputabile all'inquinamento ambientale, ossia all'immissione nell'aria di anidride carbonica e altre sostanze inquinanti, soprattutto tramite processi di combustione. Oggi sappiamo che anche un incremento di un solo grado centigrado può avere effetti devastanti non solo sugli ecosistemi, ma pure sulla sicurezza delle aree di montagna. Le previsioni per il futuro sono tutt'altro che incoraggianti: anche se tutto filasse liscio, cioè secondo quanto previsto dall'accordo di Parigi, entro il 2100 ci sarà comunque un aumento della temperatura media tra gli 1,5°C e i 2°C.
Connesso con il riscaldamento globale è anche l'aumento dei fenomeni meteorologici violenti, soprattutto quelli di più forte intensità. Temporali, tornado, grandinate e venti forti sono un'ulteriore minaccia per la stabilità dei pendii. A preoccupare, dal punto di vista dell'incolumità delle persone, è l'impossibilità di prevedere fenomeni come frane e smottamenti, e di conseguenza il rischio è molto difficile da gestire.
Le aree più colpite, dove prestare attenzione
Questa serie di criticità, fortunatamente, almeno per ora non riguarda tutte le località montane. Da quanto ne sappiamo, infatti, il pericolo di frane e lo sgretolamento dei pendii interessa principalmente le aree in alta quota, grossomodo sopra i 2.500 metri di altitudine. I centri abitati dovrebbero essere mediamente più al sicuro, almeno per i prossimi anni, ma già ora occorre mantenere alta l'attenzione.
I sentieri e i percorsi di montagna frequentati da turisti e amanti dell'alpinismo, invece, sono i luoghi che preoccupano di più. Soprattutto quando ci si trova nelle immediate vicinanze di un ghiacciaio, dove non a caso durante la primavera e l'estate si registra un aumento di fenomeni come la caduta di massi e il flusso di detriti.
Per tentare di arginare il problema, le soluzioni non sono molte. Una, di ampio respiro, è quella di contrastare in tutti i modi possibili il riscaldamento globale e il cambiamento climatico. Mentre, focalizzandosi sulla questione specifica, una possibilità è di mappare le aree ad alta quota con i maggiori pericoli, in modo da potere intervenire con misure di prevenzione specifiche di caso in caso, così da ridurre al minimo il numero di incidenti e vittime.