Coronavirus, il caldo ci salverà?
Mentre il Coronavirus terrorizza il mondo lasciandosi dietro ogni giorno una spaventosa scia di morte, una luce di speranza sembra arrivare dall’analisi preliminare di alcuni dati: il caldo umido potrebbe essere un suo nemico. Secondo i ricercatori dell’MIT, il Massachusetts Institute of Technology, il Coronavirus si sarebbe diffuso in modo più rapido – e catastrofico – nelle zone in cui l’aria è più secca e le temperature medie non sono particolarmente elevate, tra i 3 e i 17 gradi. Gli scienziati hanno notato che in generale la trasmissione del virus ha coinvolto in modo molto meno significativo i Paesi con un clima equatoriale e quelli dell’emisfero australe del Pianeta, che in questo periodo si trovano ancora nella stagione calda: l'emisfero sud, finora, è stato interessato solo dal 6 per cento dei casi registrati in tutto il mondo.Anche dei Paesi vicini alla Cina, dove il Coronavirus si è diffuso quando le temperature medie erano tra i 2 e gli 11 gradi, tra i più colpiti ci sono stati il Giappone e la Corea del Sud, che hanno un clima simile: le zone in cui le temperature sono più elevate anche in inverno sono state in modo molto meno duro. È il caso per esempio di Taiwan, Singapore, ma anche Cambogia, Thailandia e Vietnam. Anche alcuni studi condotti dalle università cinesi di Beihang e Tsinghua sembrano avvalorare la tesi degli scienziati americani, sostenendo che la trasmissione del Covid-19 possa essere, se non bloccata, almeno ridotta da temperature e umidità elevate.
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I primi dati accendono la speranza per l'arrivo della Primavera, ma l'esperta ci invita alla prudenza: «i dati a disposizione sono pochi»«In questo momento non è possibile prevedere come il Coronavirus reagirà al cambio di stagione - avverte la climatologa Serena Giacomin -. Il Covid-19 è un virus che conosciamo molto poco e tra le analisi che la comunità scientifica sta conducendo in queste frenetiche giornate di emergenza c’è anche il suo comportamento in funzione delle variabili meteo-climatiche.Nonostante arrivino continuamente dati preliminari sulle coincidenze tra pioggia, temperatura, umidità, vento e il numero di contagi in giro per il mondo, siamo ancora lontani da una dimostrazione.I dati a disposizione sono troppo pochi e gli studi scientifici pubblicati, e non ancora sottoposti a peer review (ovvero la valutazione e validazione dei risultati da gruppi di studio indipendenti), sono utili indirizzi di ricerca, ma non ci danno ancora delle risposte definitive».
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Ancora molti i dubbi da dissipare, ma la speranza c'è«Al momento è solo possibile fare delle ipotesi - ci conferma Giacomin -, dai pochi dati in possesso, e in base all’esperienza passata, su come si comporterà il Covid-19. La valutazione che possiamo avanzare con più fermezza è che i contagi avvengono per lo più in luoghi chiusi (similmente all’influenza che tutti conosciamo), dove è più facile che una persona infetta riesca a trasmettere il virus. E, come ogni anno, la bella stagione attenua la diffusione dei patogeni anche grazie a un radicale cambio delle nostre abitudini, secondo cui tendiamo a prediligere una passeggiata all’aria aperta, piuttosto che un caffè in un luogo caldo e affollato, abbassando di netto la probabilità di respirare aria contagiata».«Non abbiamo dimostrazioni scientifiche che il caldo abbatterà il numero di contagi da Codiv-19», conclude Serena Giacomin: «abbiamo solo qualche coincidenza e - sicuramente - moltissime speranze che sia così».