Il giorno in cui creammo i fusi orari
In un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, avere gli orologi di tutto il globo sincronizzati tra loro, nonché fasce orarie semplici e geograficamente ben definite, pare la scelta più ovvia e naturale. Talmente scontata che faticheremmo a immaginare un'organizzazione del tempo concettualmente diversa da quella in uso. Eppure, si tratta di una convenzione piuttosto recente, stabilita meno di 140 anni fa.
Fino all'Ottocento, infatti, la misura del tempo e l'orario erano due questioni squisitamente locali. Era semplice: ciascuna città osservava l'arco apparente descritto dal Sole nel cielo, stabiliva il momento in cui la nostra stella raggiungeva la massima altezza e chiamava quell'istante mezzogiorno. Il tempo era scandito dalla torre dell'orologio, che indicava il tempo ufficiale in vigore nei suoi dintorni (chiamato anche l'ora vera), e di fatto luoghi distanti in longitudine anche solo qualche decina di chilometri potevano avere orari leggermente differenti, perché il Sole arriva allo zenit in momenti successivi spostandosi da est verso ovest. La particolarità, però, è che allora tutto ciò non costituiva affatto un problema.
Ogni epoca ha i suoi inghippi, e le sue soluzioni
Finché gli unici modi di spostarsi via terra si basavano sulle proprie scarpe o sugli zoccoli di un cavallo, la bassissima velocità di movimento rendeva del tutto trascurabile il disallineamento degli orologi tra una località e l'altra. Dopo un giorno intero di cammino, se anche ci fosse stato qualche minuto di discrepanza, nessuno di fatto se ne sarebbe curato.
A scombinare questa tradizione millenaria furono le innovazioni tecnologiche, sia sul fronte dei trasporti sia su quello delle telecomunicazioni. Con i treni era diventato semplice percorrere lunghi tragitti in poco tempo, e con il telegrafo si poteva comunicare istantaneamente a qualsiasi distanza. Nacque allora una doppia necessità. Da una parte uniformare gli orari e sincronizzare gli orologi su aree geografiche più estese, per fare in modo per esempio che un treno potesse avere una tabella di marcia univoca e condivisa. E dall'altra organizzare la scansione del tempo in modo coordinato su scala globale, di modo che anche per tragitti più lunghi, per viaggi transoceanici o per comunicazioni dirette si potesse adottare una convenzione comune.
Ecco allora l'idea: suddividere idealmente il globo terrestre in spicchi, con il procedimento più semplice e razionale possibile. Dato il modo in cui il tempo era misurato da secoli, con la scansione in 24 ore, fu ovvio decidere di suddividere la superficie del nostro Pianeta in 24 aree tra loro identiche, ciascuna delimitata da due meridiani distanti esattamente 15 gradi di longitudine e con uno scarto orario di 60 minuti. Ciascuna fettina di Terra resa uniforme per orario è detta fuso (per via della sua forma, dal nome dell'arnese di legno tradizionale per la filatura), e come orario adotta quello della longitudine centrale del proprio territorio. In questo modo, ogni fuso utilizza la propria ora media, ossia l'ora vera del punto intermedio.
La geopolitica dell'orologio
Ma non è così semplice. Affinché il sistema potesse funzionare, era necessario stabilire un fuso di riferimento, rispetto a cui tutti gli altri fusi fossero in anticipo o in ritardo di un numero intero di ore. C'è chi lo chiama meridiano fondamentale e chi meridiano zero, e di fatto sarebbe stato il punto di riferimento del cosiddetto tempo universale. Come è andata a finire lo sappiamo già: alla fine prevalse il meridiano di Greenwich, nel Regno Unito, punto centrale del fuso orario zero.
La decisione arrivò, non senza difficoltà, alla Conferenza internazionale dei meridiani, che si tenne a Washington nell'autunno del 1884 per volere dell'allora presidente statunitense Chester Arthur. Dei 25 Paesi che parteciparono al lavori, quelli in più aperta opposizione furono Francia e Regno Unito. Gli inglesi chiedevano infatti che il meridiano di riferimento fosse proprio quello di Greenwich, mentre i francesi preferivano il meridiano esattamente opposto (quello che oggi si trova a 180° di longitudine), che cade nell'oceano Pacifico e quindi sarebbe stato politicamente più neutro.
Ben presto però la posizione della Francia risultò debole nei fatti. La grande maggioranza delle carte nautiche e dei Paesi già riconosceva a Greenwich il ruolo di riferimento, tanto che in fondo la Conferenza si trovò nelle condizioni di dover solo formalizzare una convenzione già in essere. Non è un caso che il Regno Unito, il Paese con le ferrovie più sviluppate, sia stato anche il primo punto di riferimento culturale per la gestione nazionale e internazionale del tempo, anche se in realtà i fusi orari furono teorizzati dall'ingegnere capo delle ferrovie canadesi Sandford Fleming nel 1879 e introdotti per primi negli Stati Uniti e in Canada nel 1883, vista ovviamente la grande estensione in longitudine di entrambi i Paesi.
La decisione della Conferenza internazionale dei meridiani divenne immediatamente operativa, già dal primo di novembre dello stesso 1884. L'adozione effettiva fu invece molto più lenta, e richiese quasi mezzo secolo. La Francia, per esempio, ratificò ufficialmente la convenzione solo nel 1911. L'Italia invece fu piuttosto efficiente, adottando il meridiano centrale del proprio fuso (quello che passa per l'Etna e per Termoli, 15° a est di Greenwich) già dal primo novembre 1893.
La storia continua
La stessa Conferenza del 1884, se da un lato ebbe successo nello stabilire i fusi orari e il tempo universale, fallì nell'unificare il giorno solare con quello siderale e quello nautico. Per esempio, il giorno siderale continuò a iniziare a mezzogiorno (anziché a mezzanotte) fino al 1925.
Il sistema dei fusi orari comunque non ha mai cessato di essere una convenzione in perenne mutamento. Oltre all'introduzione dell'ora legale in molti Paesi (con lo scostamento di un'ora per alcuni mesi dell'anno), i fusi orari continuano a cambiare in numero e in forma. Con l'introduzione di sotto-fusi da 30 o da 45 minuti, al momento se ne contano 39, e in molti casi si è persa la perfetta geometria a fuso, seguendo confini nazionali o altre esigenze territoriali, come isole che fanno parte di Stati distanti o praticità nel non dividere il territorio di una stessa nazione. Anche se con mille fronzoli, però, la base del sistema odierno è ancora quella votata a Washington in quell'ottobre di 136 anni fa.